Irisbus, lavoratori di nuovo in catene davanti allo stabilimento

Questa mattina alcuni operai della Irisbus di Valle Ufita si sono incatenati ai cancelli dello stabilimento. “E’ l’ultimo urlo di protesta per cercare di salvare il proprio lavoro, la propria dignità, la propria fabbrica”, si legge nella nota di Resistenza Operaia. Mentre sui giornali alcuni sindacati fanno rimbalzare la palla cercandosi posizionamenti più consistenti, altri invece sorridono di fronte allo smantellamento della fabbrica, altri ancora continuano ad essere completamente assenti, an…

Questa mattina alcuni operai della Irisbus di Valle Ufita si sono incatenati ai cancelli dello stabilimento. “E’ l’ultimo urlo di protesta per cercare di salvare il proprio lavoro, la propria dignità, la propria fabbrica”, si legge nella nota di Resistenza Operaia. Mentre sui giornali alcuni sindacati fanno rimbalzare la palla cercandosi posizionamenti più consistenti, altri invece sorridono di fronte allo smantellamento della fabbrica, altri ancora continuano ad essere completamente assenti, ancora una volta tocca solo all’operaio alzare il suono della protesta.
Di fronte ad una campagna elettorale generica e senza nessun tipo di garanzie da parte di nessuno schieramento la Fiat continua a fare ciò che vuole in maniera incontrastata, incurante del dramma sociale che ha creato e sbeffeggiando a destra e a manca chi non ha il coraggio di contrapporsi concretamente alle sue scelte. C’e chi dice che la “linea” sulla quale si costruivano i pullman in Valle Ufita è un ferro vecchio e che non converrebbe nemmeno a Fiat di portarsela in Africa. Ebbene noi nei panni dei padroni non siamo mai voluti entrare, gli imprenditori (o prenditori) li lasciamo fare ad altri, noi vogliamo fare gli operai e guardiamo a ciò che conviene a noi, non ad altri. Non è la questione di linea nuova o ferri vecchi (tra l’altro meno di due anni fa la famosa linea è stata ristrutturata), la questione è che stanno smantellando tutto ciò che rendeva funzionale quella che tutti chiamavano la “nostra fabbrica”, ma che pochi hanno considerato e considerano veramente propria. La questione è che Fiat dovrebbe pagare per lo scippo che ci ha fatto e dovrebbe almeno andare via senza portarsi niente, perché lì dentro ci sono i nostri soldi, ma soprattutto le nostre vite.
Quella catena di montaggio rappresenta le nostre mani, lo studio dei nostri figli, la speranza di migliorare. Per questo Marchionne non può essere proprietario delle nostre esistenze, non può strapparle così, la fabbrica non gli appartiene come non gli apparteniamo noi. Ecco il perché dell’incatenamento di stamattina, perché abbiamo bisogno di ribellarci a quanto sta succedendo, il nostro è un grido d’allarme, l’ennesimo…speriamo che stavolta qualcuno lo ascolti”, conclude la nota.

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