Trivellazioni, il parere del geologo Antonio Corbo

“Contro le ricerche petrolifere si assiste ad una levata di scudi da parte di appositi comitati, delle Amministrazioni comunali e provinciali di BN e AV e, da qualche settimana, di un senatore irpino (con carica in scadenza), che ha presentato una interrogazione urgente al ministri competenti. Le ragioni della loro ribellione sono il presumibile pericolo di inquinamento delle falde acquifere, di innesco di frana-menti, di scosse telluriche, di alterazione delle “peculiarità ambientali” e c…

“Contro le ricerche petrolifere si assiste ad una levata di scudi da parte di appositi comitati, delle Amministrazioni comunali e provinciali di BN e AV e, da qualche settimana, di un senatore irpino (con carica in scadenza), che ha presentato una interrogazione urgente al ministri competenti. Le ragioni della loro ribellione sono il presumibile pericolo di inquinamento delle falde acquifere, di innesco di frana-menti, di scosse telluriche, di alterazione delle “peculiarità ambientali” e così via. Forti della nostra esperienza in materia (ricerche nel territorio di Deliceto FG nell’ anno 64), ci permettiamo di chiarire alcuni termini della questione affinché ognuno possa trarre le proprie conclusioni”. E’ quanto afferma il geologo Antonio Corbo.
“Va detto innanzitutto che il “percorso idrocarburi” si articola in indagini indirette,in investigazioni dirette e,infine, nella estrazione del prodotto,che è una sostanza oleosa ad alta viscosità. Le prime consistono in proiezioni in sottosuolo di microtremori ad altissima frequenza (perciò a forte potenza di penetrazione e ad ottima risoluzione ai geofoni di ricezione), che vengono sviluppati da appositi strumenti montati su specifici automezzi dei quali si utilizzano i motori. Questa metodologia è assimilabile all’ecografia nella medicina dove si sfruttano, però, onde sonore .
Come l’ecografo, senza apportare alcun nocumento, visualizza l’interno del corpo umano, focaliz-zando eventuali punti irregolari, così i geofoni, “inquadrano” possibili strutture anomale comprese nelle formazioni rocciose. Questi volumi difformi potrebbero corrispondere a giacimenti (trappole) di idrocarburi, che, essendo di consistenza viscosa, sono, quindi, del tutto diversi dalle rocce che li imballano.
Le investigazioni dirette – prosegue Corbo -consistono in sondaggi a rotazione (diametro di pochi cm), che vengono prati-cati in quelle verticali dove in precedenza sono stati intercettati, in profondità, membrature particolari. Solo se si ha effettiva certezza della presenza di idrocarburi, della loro buona qualità (percentuale di composti di zolfo), di quantità congrue etc, si procede al perforo di estrazione.
Il sistema di scavo è identico a quello dei sondaggi: si terebra con tubazione metallica di diametro, però, (di poco) maggiore e, se necessario, si ricorre a rivestimento con geomembrana sintetica che permette forti deformazioni (in caso di sismi), senza rovinarsi. Lungo il foro, nei tratti acquiferi, si procede alla sigillatura delle pareti con miscele sigillanti (cemento, farina calcarea e bentonite)per assicurare l’integrità della falda idrica;nella metropolitana di Napoli,che “cammina” per buona parte sotto falda, se ne sta facendo largo uso con risultati eccellenti. In merito alla sismicità, va ricordato che nelle nostre regioni “i punti di rottura”,ove si generano i terremoti, si trovano oltre 10 Km di profondità, mentre le perforazioni estrattive saranno spinte, al massimo, fino ai 4 Km. E’ scongiurata, quindi, ogni interferenza.
E’ importante segnalare intanto che le zone oggi interessate sono le stesse indagate, a più riprese, a partire dagli anni 30, quando per le onde vibratorie si ricorreva agli esplosivi in pozzi profondi e per gli scavi si avanzava con scalpello a percussione e non con la innocua perforazione. Sebbene con metodi rudimentali,non si registrò alcun danno, anche dove si superarono i 2000 m. Si fa osservare in proposito che le stratigrafie pubblicate dall’ENI, fino a 500 m, documentarono, fino a questa profondità, assenza di acquiferi rilevanti,mentre rivelarono numerose sacche di acqua salata residuali dei fondali di sedimentazione(nei lontani tempi geologici)dei vari litotipi. E’ interessante evidenziare che, pure in ambienti di estrema delicatezza, in nessun caso si sono regi-strati, almeno in Italia, episodi incresciosi. A poche miglia dal lido di Rimini,infatti, in mare aperto sono in azione piattaforme metanifere e petrolifere. Ebbene, in nessun tempo si sono avuti inquinamenti; le spiagge sono state sempre frequentate e la biocenosi marina è rimasta inalterata. Quei cittadini -va marcato- non si sono mai ribellati, nonostante i loro lidi rappresentino la loro vita.
Tornando alle vecchie indagini nelle nostre regioni, va sottolineato che dai dati acquisiti scaturì la nuova e veridica interpretazione della struttura dell’Appennino (falde di ricoprimento), furono rivelate le ragioni della loro sismicità e le plaghe critiche. Furono, appunto, le ricerche di idrocarburi che dettarono le linee guida per la lettura corretta degli assetti geostrutturali dell’Appennino campano. A quelle “trivellazioni” attinsero a piene mani i docenti universitari per le loro pubblicazioni ,ivi compresi quelli che, oggi, sollevano problemi, collegandoli alla sismicità dei luoghi. Sanno bene(i docenti) che i rilievi sismici indicano soprattutto l’andamento in sottosuolo delle faglie attive e le masse collassate (frane), che, ovviamente, sono evitate in fase di perforazione:le temute “esplosioni sismiche” e i paventati franamenti sono frutto di fantasia . D’altronde è del tutto fuori luogo pensare che le aziende di ricerca operino all’insegna dell’ hazart o della improvvisazione; gli errori inciderebbero fortemente sui loro bilanci. In merito all’impatto sul paesaggio, va detto che le piattaforme di pompaggio (con le relative torri) passeranno inosservate perché all’intorno di esse, e a dovuta distanza, di norma oggi vengono impiantate fasce alberate di alto fusto. Operazione,questa, non praticabile con i campi eolici. Fra i fattori inquinanti in fase d’ estrazione qualche universitario annovera l’idrogeno solforato. Il docente sa molto bene che nelle zone di potenziale fertilità (di idrocarburi) da indagare vi sono varie sorgenti ed esalazioni sulfuree naturali ove all’idrogeno solforato si uniscono anidride carbonica, idra-zina e metano. Sa pure che a breve distanza dai punti di scaturigine la vita,vegetale e animale, è assolo-tamente normale come alle Mefite di Rocca S.F. – AV- (ricordate da Virgilio) e alla Malvizza, in prossimità di Castelfranco i.M. –BN-,punti,questi, che si configurano in veri crateri in piena attività.
Tra i contestatori molti si contraddistinguono per la diffusione di allarmismo psicologico generalizzato. Paventano,tra l’altro, la rottura delle tubazioni di adduzione ai punti di stoccaggio e l’inquinamento consequenziale dei terreni “ per allagamento da petrolio”. Questi signori ignorarono che in quelle zone, da circa 30 anni, “passano” le condotte metanifere dell’ENI che, con relativa rete secondaria, distribuiscono il metano edotto dall’Algeria, non sanno che questi impianti sono monitorati in modo tale che ad ogni perdita si blocca, in forma automatica, la fuoriu-scita del prodotto, trascurano, infine, che è scongiurato proprio quel pericolo che loro temono e propa-gandano in modo fanciullesco, diffondendo allarme del tutto ingiustificato. A loro noi segnaliamo che questo metanodotto è adagiato lungo i fondali del basso Mediterraneo e attraversa aree vulcaniche con frequenti “sussulti” sismici,aggiungendo che tutto è sempre “filato liscio”. Le motivazioni delle geremiadi e delle querimonie in atto,come si può arguire, s’infrangono a contatto con la realtà.
Gli autori raccolgono facili applausi da platee emotive e cio’ che è ragionevole e condivisibile si disper-de nella “selva selvaggia” dei no a tutti i costi, pure a ciò che è,invece, non solo praticabile, ma anche saggio e lodevole. A questi sacerdoti dell’ecologismo ideologico ci sia consentito un sommesso appello affinché non scimmiottino i NON TAV della Val di Susa, mentre ai politici, con tanta umiltà, rivolgiamo la preghiera a riflettere sulle decisioni prese; a loro spetta il compito di tutelare gli interessi collettivi e non piegarsi alle intimidazioni dei demagoghi strepitanti. Il problema energetico non si risolve con l’eolico e il fotovoltaico e tanto meno con le pastorellerie di un’ Arcadia inesistente: mettano da parte i loro discorsi alati e i loro svolazzi retorici, che in certe circostanze appaiono dei veri balbettamenti inconcludenti come quando tirano in ballo le così dette “energie rinnovabili”.
Prima di decidere e prima dei pronunciamenti solenni il buon senso vorrebbe che fossero interpellati esperti in materia (non schierati politicamente) e,possibilmente,stranieri. La loro (dei politici) formazione professionale, che, quasi per tutti, è umanistica (per lo più si tratta di laureati in legge, ossia in quella disciplina che non apporta nessun beneficio sostanziale alla società), non consente,infatti, di orientarsi in modo oculato in problemi di fisica, chimica, geotecnica e sismologia. L’umanesimo ha pregi diversi e migliori delle scienze e della tecnica, ma nel caso specifico non porta alcun giovamento, non aiuta ad orientarsi . In questa circostanza,purtroppo, Aristotile,Ovidio, Cicerone e Giustiniano non possono venirci incontro.
Riprendendo il tema energetico,è importante evidenziare che una stessa quantità di energia elettrica ottenuta dal carbone fossile costerebbe otto volte in più, qualora si utilizzasse il fotovoltatico, e quattro volte in più con l’eolico. Piacerebbe tanto dimostrare, attraverso un’analisi costo-benefici e con l’ausilio dei fattori fisici, la correttezza di tale asserzione. Purtroppo questa non è la sede adatta . La diffusione degli impianti fotovoltaici ed eolici trova spiegazione -si dica una volta per tutte- nel finanziamento pubblico previsto da una legge sciagurata varata da un ministro “sui generis” il cui nome ( legato ad uno sfondone unico:in dieci anni la temperatura in Italia aumenterà di 4° ) era tutto un presa-gio (nomen omen). Sono i soldi dei contribuenti, in sostanza, che sostengono i costi di questi impianti e che arricchiscono impresari in cerca di facili e cospicui guadagni. Il vantaggio di produzione non esiste.
Chi spera di risolvere il problema energetico con la new economy preferisce sognare ad occhi aperti allo stesso modo di chi parla di far ricorso alla “decrescita”per risolvere il problema dell’economia di questi tempi. Una cosa tuttavia è certa:entrambi vogliono portarci alla candela,ai secoli bui,alla economia di corte e del castello (feudale) e, per dirla tutta, al Medio Evo .
In questo bailamme un ruolo non trascurabile è giocato dalla stampa i cui operatori si stanno com-portando da veri corifei della ribellione. Eppure questi signori dovrebbero astenersi da questa “missione” e limitarsi a riportare le semplici notizie,ad agire,cioè, da gazzettieri; privi di conoscenze specifiche,come traspare dai loro scritti, non dovrebbero esprimere giudizi di merito e,tanto meno, acclamare e stimolare il dissenso. Il primo dovere della “buona stampa” è quello dell’obiettività; la faziosità, la discriminazione i pregiudizi vanno messi da parte e chi argomenta diversamente da loro non va emarginato, ma concede-re la libertà di espressione e ospitalità nei pubblici dibattiti e nei mass media.
Lo sfruttamento delle potenzialità intrinseche nei territori interessati, ipotizzato dai giornalisi e dai politici esiste solo nei loro desideri. La realtà è ben diversa e si sostanzia nella litologia (argille sterili perché ricche di montmorillionite ), nella orografia (colline e montagne),nella morfologia (accidentata), nella idrogeologia (carenza di acque ),nel clima pressoché continentale (forti escursioni termiche,ventoso e arido). La concomitanza di tutti questi fattori non permette culture, attività con redditi diversi da quelli che da tempi lontani permangono in dette zone (cereali zootecnia etc). Gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno,ente appositamente istituito nel primo dopoguerra per lo sviluppo di queste aree e il fiume di miliardi investito hanno dimostrato che non si può andare contro la Natura;le avversità congenite di un territorio possono essere solo mitigate e in nessun caso stravolte.
Tornando agli idrocarburi e precisamente ai “risvolti” economici, ossia ai posti di lavoro, che, secondo i detrattori saranno irrisori, precisiamo che (indotto a parte) non saranno meno di cento per ogni piatta-forma di estrazione (si lavora 24 ore al giorno). Certamente non sono molti. Se si considera, però, la depressione connaturata dell’Alto Sannio e dell’Alta Irpinia, non sono da rifiutare; una goccia d’acqua in un deserto è sempre preziosa. Chiudendo, ci sia consentito intanto di esprimere le nostre convinzioni: per la struttura geologica particolare della regione, sono troppo scarse le speranze di rinvenimento di giacimenti di idrocarburi cospicui, meritevoli, cioè, di essere sfruttati. Magari le ricerche dimostrassero il contrario! Perderemmo la faccia, ma saremo contenti!”, conclude Corbo.

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