Sisma, Simeone: “Ripensare all’Irpinia partendo da ciò che si può”

AVELLINO – “Che le vicende elettorali dovessero avere delle code tutti l’avevano pronosticato, che le lotte dentro e fuori dai partiti sarebbero arrivate alla resa dei conti pure, ma che in ogni luogo anche in quelli deputati paradossalmente alla cura di quello sviluppo, da tutti annunciato e da nessuno perseguito, si dovesse assistere a regolamenti di conti senza nessuna coscienza delle responsabilità e della drammaticità della condizione economica in cui versa la nostra regione, proprio…

AVELLINO – “Che le vicende elettorali dovessero avere delle code tutti l’avevano pronosticato, che le lotte dentro e fuori dai partiti sarebbero arrivate alla resa dei conti pure, ma che in ogni luogo anche in quelli deputati paradossalmente alla cura di quello sviluppo, da tutti annunciato e da nessuno perseguito, si dovesse assistere a regolamenti di conti senza nessuna coscienza delle responsabilità e della drammaticità della condizione economica in cui versa la nostra regione, proprio non si poteva immaginare neanche da parte di quelli tendenzialmente più catastrofisti”. E’ quanto afferma Luigi Simeone, segretario generale della Uil di Avellino e Benevento. “Non crediamo al rilancio delle zone interne con le eccellenze agro alimentari e le risorse naturali, senza un tessuto industriale che ne caratterizzi l’economia nel terzo millennio, gli stessi Consorzi per le aree di sviluppo industriale dovrebbero rappresentare strumenti necessari per favorire lo sviluppo e con esso la sinergia tra imprese e territorio, fondamentale per favorire la nascita di nuove attività produttive, di servizi alle imprese, per poter saldare finalmente sviluppo e occupazione”. La loro nascita – prosegue Simeone – avrebbe dovuto traguardare obbiettivi distinti e duraturi, invece anche perché figlia di una logica poco pregnante e radicata con il territorio ha dovuto dopo un troppo breve periodo fare i conti con le difficoltà delle imprese che in periodi di crisi nemmeno riescono a far fronte alle incombenze per i servizi resi, con le relative crisi occupazionali e produttive, ma soprattutto con la sostituzione della politica a quella managerialità in troppi casi solo annunciata per poi essere immediatamente lasciata naufragare sull’altare degli interessi e delle vendette tra e dentro i partiti. L’economia dell’Irpinia a 35 anni dal Terremoto va riconsiderata in relazione all’evoluzioni e all’involuzioni socio economiche che si succedono, l’andamento demografico, la crisi produttiva e i cambiamenti socio culturali anche delle diverse aree vanno affrontati con nuove visioni e diverse discriminanti, che non possono essere riproposte con la stessa logica che non cambia da sette lustri. Le aree e le filiere dello sviluppo non sono più le stesse e forse nemmeno le zone industriali sono in grado di sopravvivere tutte e nello stesso modello in cui furono talvolta intempestivamente pensate ed insediate, ed è con questa convinzione, che anche ai tavoli del Patto dello Sviluppo, abbiamo provato e proveremo ancora a porre un modello nuovo per costruire le occasioni che il territorio merita. Nelle poche occasioni di confronto abbiamo sottolineato come i modelli di sviluppo vanno pensati in relazione alla mutata caratteristica della produzione e delle risorse della terra nelle diverse aree, secondo cui non si possono pensare, per esempio, Stazioni Logistiche in concorrenza con altre province, o pensate indipendentemente da un quadro complesso del disegno produttivo regionale, i consulenti quando pagati ti disegnano ciò che chiedi che non è detto che coincide con ciò che è possibile, questo è il motivo per cui lanciammo l’idea di costruire “L’IRPINIA CHE POSSIAMO” e non già quella che vogliamo che magari verrà ma che non possiamo continuare ad annunciare senza nessun pragmatismo.
La rappresentazione di interessi di parte non farà salva la prospettiva del territorio e dell’economia irpina, che ha qualche possibilità di ripresa solo se ognuno ripensa al suo modello di partecipazione senza assolutismi e presunzione di infallibilità, lasciando ad altri luoghi le risse e i regolamenti di conti. Non pensiamo che il primo e unico problema siano la struttura delle ASI, che pure vanno ripensate, ma che funzioni svolgono e che prospettive disegnano e soprattutto che risultati determinano, e se il cambiamento verso nuove e rinnovate competenze va in questo segno non va bollato come di parte ma sostenuto e controllato per gli interessi di quanti si aspettano da questi come da altri enti nati per segnare la prospettiva, risultati e non annunci e guerre. Tutto questo pensiamo si possa fare pensando che il primo passo verso l’uscita dal tunnel debba essere per i partiti quello di individuare ed offrire competenze e non vicinanze, delle imprese quello di un vero protagonismo connotato anche dal reale rischio d’impresa e per il sindacato quello di provare a costruire moderni e dedicati modelli di relazioni e di diritti in grado di intercettare risorse per favorire innanzitutto l’occupazione, attraverso nuovi insediamenti produttivi che diversamente continueranno ad andare in altre zone del Paese più attenzionate dalla politica forse anche perché meno rissose e talvolta presentabili”.

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