Con 41 beni culturali ogni 100 kmq contro i 37 nel Nord, 22 nel Sud e 47 nel Centro, la Campania è la regione italiana con il maggior numero di musei, monumenti e aree archeologiche. Una ricchezza in termini di beni culturali davvero impareggiabile.
Eppure la ricerca condotta da Srm e Università della Calabria e promossa da Confindustria Campania e Fondazione Mezzogiorno Tirrenica dal titolo “Specializzazione intelligente e patrimonio culturale” fa emergere anche un altro dato che purtroppo non sorprende: sono sempre pochi, anzi pochissimi, i fondi messi a disposizione per la tutela di questo patrimonio immenso che, per la maggior parte, è di proprietà pubblica e per il quale i soli introiti derivanti dal turismo non sono sufficienti (più del 70% dei beni ha meno di 5mila visitatori all’anno).
Il finanziamento pubblico risulta quindi fondamentale, ma negli anni la spesa destinata agli interventi ordinari si è ridotta moltissimo, in particolare proprio al Sud, dove, come visto, si concentra la maggior parte delle ricchezze (in Campania la spesa ordinaria nell’anno 2000 raggiungeva gli 1,2 miliardi ed è scesa a 500.000 euro nel 2008).
Neppure il contributo dei fondi europei è sufficiente in quanto sono fondi destinati agli investimenti e non alla manutenzione e gestione ordinaria dei beni. E spesso la gestione dei fondi europei non è ottimizzata in quanto buona parte di questi fondi viene utilizzata per rinforzare progetti già realizzati con altri mezzi e la distribuzione non risulta ben distribuita ma concentrata su poche aree ristrette (Napoli e Pompei hanno assorbito il 60% dei finanziamenti; includendo anche Caserta, Giffoni e Ravello si raggiunge il 70% dei finanziamenti totali).
Secondo gli studiosi di Srm e Unical occorre una maggiore collaborazione tra i diversi attori coinvolti, quali Beni culturali, Ricerca, Urbanistica, Turismo e le amministrazioni locali in modo da condividere i vari saperi in una logica di sistema che punti a valorizzare non soltanto il singolo monumento, ma l’intera area.