Legge figli, il plauso della Camera minorile

Legge figli, il plauso della Camera minorile

L’avvocato Tiziana Tomeo, Presidente della Camera Minorile di Avellino, interviene sul recente disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri il 29 ottobre 2010 che rappresenta un traguardo importante per la legislazione nazionale ma che al contempo, deve essere anche il punto di partenza per l’effettiva eliminazione delle odiose discriminazioni tra figli legittimi e naturali. “La Costituzione agli artt. 2 -3- e 30 ha sempre assicurato ai figli nati fuori dal matrimonio, forme di tutela giuridica e sociale che impedissero “status e modus vivendi” differenti rispetto a quelli garantiti all’interno della famiglia legittima. Non abbiamo fatto altro che adeguarci al perentorio divieto di discriminazioni già sancito dall’art. 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea, con contenuto vincolante nell’ordinamento italiano a seguito dell’entrata in vigore il 1° dicembre 2009 del Trattato di Lisbona. La stessa Cedu – spiega l’avvocato Tomeo – non rimane indifferente alla tutela ed alla protezione di beni come la vita privata e familiare, pur non sancendo espressamente disposizioni afferenti la materia del diritto di famiglia, comunque all’art. 14 impone il divieto di ogni discriminazione.E’ evidente che sia stato percepito come urgente ed ormai improcrastinabile il bisogno di adeguarsi alla prassi giurisprudenziale che poneva l’accento sulla necessaria equiparazione della condizione del figlio naturale a quello legittimo.In applicazione del contenuto dell’art. 30 della Costituzione infatti, si abbandona quell’anacronista summa divisio per dare spazio a quella di ancoraggio costituzionale e che differenza sic et simpliciter i “figli nati nel matrimonio” dai “figli nati fuori dal matrimonio”.E’ dunque di nuovo conio l’unico “status” di figlio, rispetto al quale assumono sono determinanti non tanto e non solo le logiche esplicazioni dell’esercizio della potestà genitoriale, bensì le relazioni con i nuclei familiari.Tale riforma si presenta allo stato con quattro articoli, il primo dei quali modifica il titolo IX del libro primo che immediatamente evidenzia la sua dirompente disciplina ponendo l’accento non più sulla sola potestà dei genitori, come già accennato in precedenza, ma sui diritti dei figli.Pertanto l’art. 315 c.c. viene sostituito arricchendo il contenuto della stessa rubrica e sancendo accanto ai doveri del figlio anche i suoi stessi diritti nell’ambito della relazione con i suoi genitori e con i parenti degli stessi rispetto ai quali, prima della novella, era un perfetto estraneo.Non più solo diritto al mantenimento, all’educazione ed all’istruzione ma l’art. 315 c.c. novellato, segnatamente prescrive anche il diritto ad essere amato ed assistito moralmente e nell’ambito della propria famiglia. La nuova qualificazione data a quest’ultima istituzione pone l’accento sul diverso concetto di “abbandono” dovendosi intendere come tale non più una condizione d’indigenza dei genitori o del genitore che esercita la potestà genitoriale ma un’irreparabile compromissione della crescita del minore, come del resto già la L. 184 del 1983 all’art. 1 comma 2 aveva prospettato.La motivazione della previsione è insita nel fatto che sino ad oggi, circa la giusta definizione del concetto di “stato di abbandono” era stato lasciato ampio spazio alla discrezionalità del magistrato nonché alla valutazione dell’interprete ma prestando così il fianco a differenze di trattamenti sin troppo evidenti e che hanno minato l’uniformità delle procedure per i minori. Certamente ciò che si evince ictu oculi è una chiara partecipazione del minore in tutte le questioni che lo riguardano e così oltre al diritto di ricevere carica affettiva che evidentemente è determinante nella sua formazione, il minore dovrà esprimersi ed essere ascoltato in tutte le questioni e nelle procedure che lo riguardano in aderenza agli atti internazionali come la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 176 del 1991 che all’art. 12 vincola gli Stati a garantire al fanciullo con adeguata capacità di discernimento, il diritto ad esprimere liberamente la sua opinione su questioni che lo interessano e che ovviamente siano poi prese in considerazione, in virtù dell’età e del suo grado di maturità.Più diritti per i minori dunque ma anche doveri per i figli conviventi con la famiglia che saranno tenuti a contribuire in base alle proprie capacità, alle proprie sostanze ed al proprio reddito. L’unificazione dei capi I e II del titolo VII del libro primo del codice civile rubricato in un solo titolo”Dello stato di figlio”, implica le giuste considerazioni anche in relazione alla disciplina che attiene il possesso di stato e la prova della filiazione. Tutte le incongruenze causate dalle disparità tra gli status di figlio hanno determinato l’estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli nati o concepiti nel matrimonio e la ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità e ciò in simbiosi con il contenuto della pronuncia della Consulta n. 266 del 2006 cha ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 235 1° comma n. 3 del c.c. nella parte in cui l’azione per il disconoscimento della paternità era stato subordinato all’esame delle prove tecniche previste per la dimostrazione dell’adulterio della moglie.Introducendo l’art. 315 bis la novella precisa anche la disciplina del riconoscimento dei figli di genitori non coniugati che dovrà essere simbioticamente funzionalizzato all’identità dello status di figlio garantendogli lo stesso rapporto di parentela con i parenti dei suoi genitori, sono ad oggi precluso; l’abbassamento inoltre del limite d’età per esprimere il consenso da 16 a 14 anni è un ulteriore passo in avanti nella valorizzazione della volontà del minore e che assume un forte peso soprattutto ex art. 244 c.c. e 264 c.c. ovvero nel disciplinare i termini dell’azione di disconoscimento nonché per l’impugnazione da parte del riconosciuto e per la disposizione che prevede l’azione nell’interesse del minore e dell’interdetto ex art. 273 c.c. Alla lett. g del comma 1 dell’art. 2 della novella inoltre, avendo introdotto un limite temporale all’impugnazione del riconoscimento si è data la giusta importanza alla stabilità del vincolo di filiazione che ovviamente si è consolidato in virtù del possesso di stato mentre la titolarità dell’azione per il figlio è azionabile senza tempo.Questo il tratto saliente delle nuove disposizioni del Consiglio dei Ministri rispetto alle quali fa lungamente pensare il “disco rosso” all’ipotetico obbligo da ascrivere in capo ai genitori di amare i figli!”

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