Sulla ricorrenza delle Foibe, ecco il documento a firma dei Circoli dei Giovani Democratici di Serino “E. Berlinguer”, Avellino “M. Monicelli”, Ariano, Venticano, Grottaminarda “R. Saviano”, Moschiano, Domicella, Lioni, Cervinara, Rotondi, Monteforte Irpino:
“In questi giorni così cupi per il nostro presente che appare sempre più incerto ed il futuro che è messo costantemente in discussione dagli eventi politici che non sembrano riuscire ad incidere in maniera concreta, è doveroso per noi Giovani Democratici avere ben chiaro almeno il nostro passato. Abbiamo dunque sentito il dovere di esprimere la nostra posizione sugli “eccidi delle Foibe” per ricordare, così come abbiamo fatto in precedenza nella giornata della memoria, dedicata alla Shoa, le vittime di un periodo storico buio anche per il nostro Paese. Si trattò di un orrendo crimine contro l’umanità, come affermato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La brutalità delle esecuzioni, persone spesso ancora vive scaraventate in cave profonde, chiamate foibe, con la successiva cancellazione integrale delle vittime, tolse ai parenti perfino la possibilità di piangerle su una tomba (molti corpi non furono mai ritrovati). Tra il 1943 e il 1947 gli storici hanno concordato che furono circa 10mila gli scomparsi italiani nelle terre dalmato-giuliane. Secondo le conclusioni della Commissione Congiunta italo-croato-slovena, risalente al 2000, morirono circa 5 o 6mila persone di nazionalità italiana nelle terre del confine orientale, anche se non è possibile valutare quanti furono effettivamente gli infoibati. Tra il 1947 e il 1954, circa 350mila italiani abbandonarono i territori passati alla Jugoslavia e non sempre accolti bene da questa parte del confine, spesso mal tollerati o abbandonati a se stessi. A sinistra guardati con ostilità quali testimoni scomodi delle prepotenze jugo-comuniste. Il tutto stava avvenendo in un periodo susseguente al Processo di Norimberga in cui si perseguivano i criminali di guerra. Se da un lato si cercava di stanare i nazisti in Italia, dall’altro gli Jugoslavi reclamavano i generali fascisti italiani occupanti dal 1940 al 1943 (Roatta, Ambrosi, Robotti, Pirzio Biroli), denunciati all’Onu in quanto rei di atrocità in Slovenia, Croazia e Montenegro. Per non dover consegnare gli imputati italiani, si decise così di non perseguire i crimini nazisti. In quel periodo il generale Tito veniva annoverato tra gli avversari geopolitici di Stalin, a seguito della sua rottura con l’Urss nel 1948. Questo in estrema sintesi il contesto storico nel quale i primi governi DC dovettero affrontare il contenzioso con la Jugoslavia durante la Guerra Fredda. Fuori dal contesto storico non è possibile comprendere la tragedia delle foibe. Così come va affermato forte e chiaro che vanno di pari passo le responsabilità del regime titino e le colpe italiane del regime fascista. Due le fasi storiche, a ridosso immediato delle Foibe: lo sbandamento dell’’esercito italiano dopo l’8 settembre 1943 che impedì qualsiasi azione difesa dei civili italiani, fascisti e antifascisti, dalle vendette degli slavi i quali avevano patito dopo il 1940 una durissima occupazione nazifascista contrassegnata da orrendi crimini sulla popolazione inerme; l’ingresso a Trieste della IV armata del generale Drpasin, coadiuvata dal VII e IX corpus sloveni. E così tra la fine di aprile e il 12 giugno del ‘45 comincia la mattanza degli italiani. In base a precise direttive di Kardelji, il «secondo» di Tito, che prescrivono la neutralizzazione di ogni possibile opposizione italiana al nuovo potere titino. Ha luogo una vera e propria pulizia etnica. Impiegati, postini, funzionari, oppositori antifascisti, carabinieri, finanzieri e tanti semplici cittadini italiani, ritenuti in grado di ostacolare la “jugoslavizzazione” di quei territori vengono barbaramente eliminati. Gli angloamericani, a cui in realtà i tedeschi si erano arresi, erano dislocati tra il Porto e San Giusto, e lasciano fare alle truppe di Tito per non entrare in collisione con l’Urss alleata, nonostante le denunce che arrivano anche dal Vaticano e dalla Croce Rossa. Le forze jugoslave, entrate per prime a Trieste, dopo aver depistato i partigiani italiani della divisione Garibaldi-Natisone in zone interne, iniziano la pulizia etnica. La situazione si calma con il ritiro dalla «zona b» degli Jugoslavi, ma le uccisioni e le deportazioni continueranno almeno fino al 1947. Una ferocia documentata quella jugo-comunista che era altresì il rovesciamento delle barbarie perpetrate dai fascisti italiani contro le popolazioni jugoslave iniziate già nel 1919, dopo il tratto di Versailles, con l’annessione del’Istria a maggioranza slava all’Italia, le distruzioni di società operaie, banche, cooperative e associazioni slave sia a Trieste che altrove, la proibizione di usare il “serbo croato”, la cancellazione dei nomi slavi sulle tombe e la loro italianizzazione, la rovina imposta ai contadini slavi, costretti a vendere per «rinsanguare» il contado di italiani e infine la crudelissima occupazione italiana dopo il 1940. Allora i fascisti italiani distrussero, bruciarono, decimarono: 50 slavi contro ogni ufficiale italiano ucciso. Furono internati più di 20mila persone in 202 lager molte delle quali morirono di stenti nel famigerato campo di Arbe, in Croazia. Solo nella zona di Lubiana furono uccisi 13mila civili, e quella guerra costò agli jugoslavi 250mila morti. A nulla valsero le proteste del vescovo filo italiano Santin a Trieste, contro le efferatezze italiane. Il tutto mentre il generale Roatta emanava i protocolli per le deportazioni della gente, il generale Pirzio Biroli diffidava i soldati dal “sentimentalismo”. Mussolini telegrafava in Montenegro: “Non comportatevi da padri di famiglia, come foste in Italia”. E ancora: l’appoggio ad Ante Pavelic, dittatore croato fascista, che governava nel vice-regno italiano annesso e si distinse in inenarrabili persecuzioni contro i serbi. Inevitabile che tutto ciò si riversasse in un fiume straripante di odio politico ed etnico contro gli italiani: dominatori e colonizzatori. E tali peraltro li aveva voluti Mussolini, quando disse: «500 mila barbari slavi non valgono 50mila italiani». Detto ciò, nulla potrà giustificare l’orrore delle Foibe. Le colpe di quell’orrore, oltre che sugli aguzzini, ricadono anche su chi scatenò per primo tutto quel fiume d’odio e di risentimento: il fascismo e poi il nazifascismo. Purtroppo ci duole constatare che di tutto questo non se ne parla abbastanza, anzi non se ne parla affatto. Ebbene, questa è l’altra faccia, rimossa, delle Foibe! Per questo come Giovani Democratici non possiamo permettere che il ricordo di migliaia di vittime venga strumentalizzato da una destra populista e revisionista per squallidi fini politici. Daremo vita, insieme all’A.N.P.I., come già abbiamo fatto di recente per la Resistenza e l’Antifascismo, ad una serie di iniziative ed incontri per affrontare in maniera partecipata e scevra da strumentalizzazioni ideologiche fatti storici del nostro passato, comprese le colpevoli reticenze della sinistra di allora, necessari per affrontare con serenità il presente. Condanniamo con fermezza le iniziative che in questi giorni organizzazioni di destra, al fianco di gruppi neofascisti, stanno portando avanti per mettere in discussione e diffamare i Partigiani e la Resistenza Italiana, grazie alla quale è stato possibile debellare il cancro della dittatura nazifascista. Cercheremo di far approvare questo Documento, e quello sui Valori della Resistenza e dell’Antifascismo, sia negli organismi della nostra Organizzazione Giovanile che del Partito Democratico. Non possiamo pertanto far altro che accogliere l’appello dell’A.N.P.I. Avellino e Campania all’unisono con le forze democratiche ed antifasciste della nostra regione e provincia: Giovani Comunisti Federazione Irpina, Rouge Spa Spazi Pubblici Autogestiti; Rosso Fisso; La Realidad Villamaina (collettivo politco culturale); Partito della Rifondazione Comunista –Federazione irpina; Federazione della Sinistra; IDV Giovani; CGIL Avellino; SeL; Libera; Federazione degli Studenti”.