AVELLINO – “Sono ormai trascorsi quattro anni dall’inizio della crisi economica mondiale ed è opportuno fare un bilancio dei valori “persi” – e in alcuni casi non ancora recuperati – dall’economia meridionale in questo lasso di tempo. L’anno più acuto della crisi è stato il 2009, mentre i segnali di ripresa registrati in Europa e in Italia nel corso del 2010 hanno alimentato speranze di una crescita vigorosa del Prodotti Interno Lordo che avrebbe consentito di ritornare rapidamente sui valori pre-crisi, speranze che la successiva crisi dei debiti ha presto vanificato”. E’ quanto afferma Mario Melchionna, segretario generale della Cisl irpina.
“Sotto molti aspetti la recessione ha inciso più profondamente nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese: nel periodo 2007-2010 il Prodotto Interno Lordo si è ridotto del 6,1% nel Mezzogiorno e del 5% nel Centro-Nord; tra il 2007 e il 2011 l’occupazione è calata di 300mila unità nel Mezzogiorno mentre il saldo nel Centro-Nord è risultato positivo (+50mila unità); nel 2011 l’utilizzo della Cassa integrazione si è ridotto di appena l’1,6% nel Mezzogiorno rispetto all’anno record del 2010, mentre nel Centro-Nord la riduzione è stata del 25,2%; la variazione del numero di imprese attive tra il 2007 e il 2011 è negativa per il Mezzogiorno (-0,3%) e positiva per il Centro-Nord (+3%); la redditività delle imprese è risultata in calo del 5% per le imprese manifatturiere meridionali e del 4,2% per quelle centro-settentrionali; infine, i tempi di riscossione dei crediti commerciali dalla PA sono mediamente più lunghi nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord (quelli delle ASL, ad esempio, risultano più che doppi nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord).
Il gap di sviluppo del Mezzogiorno con le altre aree del Paese e con i Paesi dell’Unione Europea non accenna, quindi, a ridursi: il Pil pro capite del Mezzogiorno – a parità di potere di acquisto – è del 31,2% inferiore alla media dell’UE a 27; la produttività nel 2010, fatto 100 l’indice per il Centro-Nord, nel Mezzogiorno è pari al 83,2, valore in calo rispetto al 2009. Negli ultimi 4 anni (2008-2011) si è progressivamente ridotta la percentuale di imprese che ha effettuato investimenti (dal 37,4% al 16,5%). Segnali positivi vengono dai dati più recenti sull’andamento dell’export: nel 2011 hanno ripreso a crescere nel Mezzogiorno (in particolare nei primi nove mesi del 2011) le esportazioni manifatturiere, che sono aumentate del 14,7% rispetto allo stesso periodo del 2010 ad un ritmo superiore rispetto al Centro-Nord (+13,4%). Accesso al credito e adeguate dimensioni sono due aspetti fondamentali in grado di favorire una più diffusa presenza delle imprese meridionali sui mercati internazionali. Per quanto riguarda il primo aspetto, gli impieghi nel terzo trimestre 2011 sono risultati in leggero aumento nel Mezzogiorno (+0,4%); inoltre, anche se una buona percentuale di imprese percepisce un peggioramento delle condizioni di accesso al credito, una quota altrettanto elevata continua a giudicare positivamente i servizi offerti dalle banche. Per quel che concerne l’aspetto dimensionale, la ridotta dimensione media delle imprese italiane (e ancor più meridionali) è un aspetto strutturale del sistema produttivo nazionale: nel 2009, l’81,9% delle imprese manifatturiere italiane conta meno di 9 addetti, mentre nell’UE a 27 tale percentuale risulta essere dell’80,8% (del 60,5% in Germania); il dato del Mezzogiorno raggiunge l’88,6%. Occorre, quindi, incoraggiare la volontà delle imprese italiane e meridionali di cercare di superare i limiti dimensionali ricorrendo a nuove forme di collaborazione con altre imprese: i contratti di rete in Italia sono passati da 104 di fine luglio 2011 a 214 di fine novembre con un numero di imprese aderenti cresciuto da 354 a 1061 (di cui 269 localizzate nel Mezzogiorno).
Altro fattore strategico – prosegue Melchionna – è rappresentato dal capitale umano. Nel Mezzogiorno, dopo 3 anni consecutivi di contrazione della base occupazionale, i dati al terzo trimestre 2011 segnalano un aumento degli occupati (+0,4% sul 2010), appena inferiore al dato medio italiano. Tuttavia, resta grande il divario con il Centro- Nord per quanto riguarda il tasso di disoccupazione che, nella componente giovanile (38,8%) e femminile (15,7%), assume proporzioni preoccupanti. Al di là del calo dell’occupazione e delle conseguenze economico-sociali che ne derivano, un problema grave per l’Italia – e per il Mezzogiorno in particolare – riguarda lo “spreco” di capitale umano, con riferimento, in particolare, alla componente giovanile e femminile: i dati al 2010 segnalano che in Italia il 22,1% dei giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni non lavora né studia (i cosiddetti Neet – Not in Education, Employment or Training) contro una media dell’UE a 27 pari a 15,3%; nel Mezzogiorno la quota dei Neet è del 31%.
Lo sviluppo del Mezzogiorno non può prescindere da un miglioramento della dotazione infrastrutturale: l’area meridionale mostra una dotazione infrastrutturale, in termini di collegamenti stradali, superiore a quella del Centro-Nord (fatto 100 il dato relativo all’Italia, nel Mezzogiorno risulta pari a 107,2), mentre per le altre infrastrutture presenta valori ampiamente al di sotto della media italiana. In quest’ottica va valutato positivamente il Piano di Azione Coesione del Governo che ha stanziato 6,5 miliardi di euro per migliorare le infrastrutture ferroviarie nelle regioni meridionali. Occorre, però, che i relativi progetti trovino una rapida attuazione, con una decisa riduzione dei tempi di realizzazione delle infrastrutture, che per le regioni meridionali sono in media superiore a quelli registrati nel resto del Paese. Per quanto concerne le infrastrutture energetiche, elementi positivi emergono con riferimento al settore delle rinnovabili, visto che il Mezzogiorno produce circa il 35% della potenza nazionale proveniente da fonte solare, il 32% di quella bioenergetica e ben il 98% di quella eolica.
I dati confermano, pertanto, il forte dualismo tra il Nord ed il Sud del Paese, non solo sotto l’aspetto economico, ma anche infrastrutturale e sociale. Ciò emerge chiaramente anche dall’indice sintetico di sviluppo elaborato nel 2010, secondo cui le province meridionali presentano mediamente un ritardo di circa il 40% rispetto a quelle centro-settentrionali. Se la disponibilità di risorse nazionali necessarie per colmare il divario tra le due aree del Paese è scarsa e in riduzione (anche se recentemente il CIPE è tornato ad assegnare risorse FAS alle infrastrutture) quelle europee potrebbero essere meglio utilizzate, innanzitutto migliorando la capacità di spesa dei fondi disponibili. In totale per il 2007-2013 il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) e il Fondo Sociale Europeo mettono a disposizione oltre 43 miliardi di euro per le regioni dell’Area Convergenza, di cui solo il 19,8 % è stato effettivamente speso. Se lo scenario attuale è fatto di molte ombre, ma anche di qualche luce, come l’andamento recente dell’export, l’ispessimento del tessuto produttivo generato dalla crescita del numero di società di capitali e la leadership nel campo delle energie rinnovabili, le prospettive di lungo periodo scontano previsioni demografiche nerissime per il Mezzogiorno.
Secondo gli ultimi dati previsionali sulla demografia del Paese, l’Italia meridionale risulterà essere sempre meno attrattiva, specie nei confronti dei giovani: le previsioni al 2065 stimano un calo complessivo della popolazione meridionale dagli attuali 20,9 milioni di persone a 16,7 milioni, in controtendenza rispetto al dato italiano. Il Mezzogiorno, che oggi rappresenta la macro-area con l’età media più bassa (41,9 anni), nel 2065 presenterà, invece, la popolazione mediamente più anziana (51,6 anni di media) e un indice di dipendenza della popolazione (cioè il rapporto tra giovani e anziani) che da 27,2 del 2011 (il livello più basso tra le macroaree italiane) salirebbe a 69,4 – circa 10 punti in più della media nazionale. E’ necessario intervenire rapidamente per evitare che tali previsioni trovino conferma in futuro. La riduzione della popolazione di oltre 4 milioni di persone da qui a 50 anni e la crescita dell’età media di quasi 10 anni significano, infatti, la perdita della risorsa più preziosa per il Mezzogiorno: il capitale umano.
Per invertire il trend è necessario creare le condizioni affinché al Sud si possa restare e vivere bene e affinché imprese e imprenditori ne siano attratti. Occorre cioè puntare sui settori in grado di esaltare le caratteristiche e le potenzialità del territorio: da un lato, su una logistica che crei valore aggiunto sfruttando il posizionamento del Mezzogiorno al centro del Mediterraneo; dall’altro, sul consolidamento del triangolo Turismo-Agricoltura-Cultura, tre settori in grado di alimentarsi a vicenda e capaci di generare effetti virtuosi in settori contigui (agroalimentare) e in comparti apparentemente distanti come l’edilizia che, dopo la pesante crisi degli ultimi anni, potrebbe ritrovare nuovo slancio da una massiccia opera di riqualificazione del territorio”.