Scuola malata, lettera di una mamma

Scuola malata, lettera di una mamma
Premetto che non sono una di quelle mamme che alla vista di un cattivo giudizio o voto dice: “Povera figlia mia, che professori cattivi che hai!” Per me la scuola e gli insegnanti meritano rispetto, anche quando sbagliano, ma devono essere aiutati a non sbagliare… è questo uno dei punti in cui la …

Scuola malata, lettera di una mamma

Premetto che non sono una di quelle mamme che alla vista di un cattivo giudizio o voto dice: “Povera figlia mia, che professori cattivi che hai!” Per me la scuola e gli insegnanti meritano rispetto, anche quando sbagliano, ma devono essere aiutati a non sbagliare… è questo uno dei punti in cui la scuola deve migliorare! Tutti i ragazzi, in modo particolare i nostri ragazzi, avrebbero bisogno di essere capiti prima come adolescenti e poi come alunni. Purtroppo ciò non avviene sempre e chi non riesce bene e nei tempi canonici viene emarginato, lasciato un po’ (troppo) a se stesso…….meno male che ci siamo noi alle loro spalle…..che non li abbandoneremo mai…..Io non ho mai contestato i contenuti educativi, e neppure il diritto di valutare. Io contesto la mancanza di capacità di ascolto, la distrazione, la noia di alcuni insegnanti. Un deserto di relazioni che ho visto crescere impetuosamente. Questa è la scuola che respinge i genitori, non li ascolta, prende in consegna i ragazzi come se pensasse “adesso è compito mio”. Gli insegnanti sono protetti dai sindacati, dai collegi docenti: i genitori sono soli. Non voglio essere il simbolo del genitore-contro, voglio solo denunciare quello che nel mio caso ho visto: una scuola stanca, sfibrata, che non riesce più neppure a sopportare chi non è dentro gli standard. Chi ha figli bravi questo non lo comprende. Io sognavo una scuola che ha una parola per tutti e dà la parola a tutti. Mi sono ritrovata mio malgrado arruolata in una guerra, e nella guerra non si parla, si spara. Così, amaramente, ho detto addio alle armi. Nei prossimi mesi accompagnerò mia figlia nel percorso di scelta di un’altra scuola superiore, o di rimanere nella stessa scuola. Una scelta difficile, importante, non facile. Non so se consigliarle di privilegiare la passione o la scuola che le dia più opportunità, o di scegliere una strada non troppo complicata. In questo momento le sue decisioni stanno rendendo questa nostra scelta ancora più difficile. Nostra perché mi sento di aver condiviso ogni scelta delle mie figlie, con amore e con passione, pur cercando di lasciare sempre a loro la scelta definitiva. Una scelta difficile anche perché i nostri figli non sono uguali, hanno i loro punti di forza, a volte molto forti, e i loro punti di debolezza, che a volte li rendono davvero deboli. Ho scoperto in questi anni, anche sulla pelle delle mie figlie, la stupidità di molti luoghi comuni: studia solo quello che gli piace, è distratto, non ha passione, non ha voglia, è svogliato, apatico, la bocciatura serve, se fosse per me si figuri. A volte si usano frasi bislacche come “fermare per un anno” invece di chiamare le cose col loro nome. La bocciatura, fatta in questi termini, svaluta la persona. La bocciatura è, vista in questi termini, come un incidente stradale. La gran parte della gente si fracassa le ossa, ma non ho mai sentito dire: “Dopo quell’incidente sono diventato eccellente”. Da qui non si può pensare che per migliorare le persone bisogna farle andare sotto i tram. Il compito della scuola non è di fracassare le ossa, ma di far superare gli ostacoli. E ho scoperto che a volte si studia solo quello che si riesce a studiare, che si sembra distratti ma si è timidi, che è difficile che ci si appassioni allo studio di una materia che non si riesce a capire. Ed è facile così che i nostri figli si perdano per strada. Ma, tornando alla nostra scelta, riusciremo a scegliere? I ragazzi sono stati educati alla gradualità dell’impegno e delle responsabilità, hanno approcciato le scuole dove si chiede loro di più, ma in maniera graduale. Non dico di non bocciare, sono sempre stata convinta che la scuola debba essere seria ma non senza la possibilità del recupero. Non è con il terrorismo approssimativo che si aumenta l’impegno dei ragazzi e la qualità della scuola. Le innovazioni devono essere ben valutate anche nelle conseguenze e devono essere introdotte con un minimo di gradualità e peraltro preparando anche gli insegnanti a gestirle in maniera oggettiva. Sento dire, vedrai non bocceranno, le insufficienze scompariranno. Beh, se è così è ancora peggio… non desidero che le mie figlie vengano educate alla logica del condono già dalla scuola. Se i voti sono da 1 a 10 vanno messi tutti e non si può mettere un 3 per fare sovversione e poi lasciarlo lievitare alla fine dell’anno, come fosse un superattico da condonare. E neanche si può bocciare un ragazzo senza possibilità di recupero. La scuola avrebbe dovuto avviare la macchina dei Corsi di sostegno e/o di recupero; la scuola è tenuta ad avviarli, i docenti non sono obbligati a farli, e allora? Gli alunni sono dovuti correre ai ripari, ricorrendo alle “lezioni private”. A mio parere una scuola che boccia così non è una scuola seria, ma una scuola che ha abdicato al suo dovere di insegnare e di educare, una scuola che fa ricadere i propri insuccessi sui ragazzi, che non ha saputo motivare gli studenti, che non ha saputo svolgere il suo lavoro che consiste nel trasmettere conoscenza e nel far crescere. Una scuola che boccia non è una cosa di cui vantarsi, è l’ammissione di una sconfitta: ricordiamocene ogni volta che sentiremo parlare di serietà e rigore. La valutazione di un alunno dovrebbe rappresentare per i docenti un momento di auto gratificazione, non registrare negatività di apprendimento e quando queste negatività ci sono dovrebbero essere avvertite come sconfitte. Bisognerebbe mettere in discussione anche la propria identità di docente. Valutare è un continuo districarsi tra “quanto” l’alunno dimostra di sapere e “chi sia” la persona-alunno che abbiamo di fronte, in quel misterioso farsi del giovane nel rapporto d’insegnamento-apprendimento. Il mio invito è quello di favorire un rapporto profondo, attento, capace di guidare, accogliere, ascoltare. Io non “trasferirò” il risentimento che provo in questo momento a mia figlia, non è utile alla causa, cioè a superare il momento difficile. La non ammissione alla classe successiva la vedo per quello che è, cioè la possibilità di acquisire o consolidare quegli apprendimenti richiesti per il passaggio alla classe successiva, allora anche una pausa di un anno può acquistare valore. Con la mia rabbia e il mio rancore si ottiene pochissimo, il mio obiettivo non è quello di far ottenere a mia figlia una riammissione a scuola, quanto quello di dare un senso a tutto quello che in questo anno è accaduto. Se le mie parole fossero state inopportune, chiedo scusa. Faccio i migliori auguri a tutti i ragazzi e alle loro famiglie che si identifichino in questo mio sfogo, nella speranza che possano ritrovare presto la serenità.

SPOT