Storia dell’acquedotto post-terremoto: In 37 anni (20 di cantieri) scavati solo 6 km. su 10.

“Il Fatto Quotidiano” di oggi pubblica una inchiesta il cui contenuto dovrebbe fare arrossire (ammesso che siano capaci di farlo) politici, amministratori e quanti hanno contribuito a un dispendio economico che non ha portato risultati per la collettività. Lo proponiamo integralmente.

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A Caposele c’è chi ormai la chiama “la Tav dell’acqua”. Eppure la Pavoncelli Bis, che in questo Comune di 3600 abitanti in provincia di Avellino ha il suo imbocco, non sembra affatto paragonabile, per dimensioni e costi, alla Torino-Lione. Appena 10 chilometri di galleria, per una spesa totale di poco più di 163 milioni. “Ma è ugualmente dannosa per l’ambiente, e ugualmente inutile”, protestano alcuni attivisti dei comitati che si oppongono alla realizzazione del tunnel, che dovrà costituire il tratto iniziale dell’Acquedotto Pugliese e sostituire la Pavoncelli originale, quella realizzata a inizio ‘900 e rimasta danneggiata dal terremoto dell’Irpinia. Era il 1980. Trentasette anni dopo, la galleria sostitutiva non è ancora stata ultimata. Tanto che c’è chi parla anche di maledizione del conte Giuseppe Pavoncelli, banchiere di Cerignola e ministro dei Lavori pubblici del Regno d’Italia, che nel 1906 diede avvio agli scavi per la galleria che avrebbe portato il suo nome. “Ma i fantasmi del passato c’entrano poco”, sbuffano gli abitanti di Caposele. Questa, dicono, “è una classica storia di grande opera all’italiana”. Con tanto di promesse mancate, tempi che si dilatano, macchinari presentati come avveniristici che improvvisamente si bloccano in mezzo alla galleria.

L’odissea della galleria: progettata nel 1985, cantieri aperti nel 1990. Poi un lungo stallo – L’idea di costruire una galleria sostituiva, “la Bis”, nasce subito dopo il 23 novembre del 1980. La Pavoncelli ha retto al terremoto, ma le perizie evidenziano danni alla struttura. L’ipotesi di un crollo è preoccupante, dal momento che dalla galleria dipende l’approvvigionamento idrico di 1 milione e 300mila abitanti. Per scongiurare il rischio di un’interruzione, nel 1985 l’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese realizza il progetto della Pavoncelli Bis: la galleria originale, si stabilisce, resterà in funzione fino a quando la nuova non sarà completata. I cantieri si aprono nel 1990, ma nel giro di pochi anni due contratti d’appalto vengono rescissi a seguito di contenziosi con le imprese. Si capisce subito che le cose si complicano. Si arriva al 1998, quando parte il valzer dei commissari straordinari. Senza che però la tanto attesa svolta nei lavori arrivi.

Roberto Sabatelli, lo “sblocca-cantieri” che dal 2005 sovrintende all’opera – Poi, nel 2005, arriva “lo sblocca-cantieri”. Così, almeno, si autodefinisce l’ingegnere Roberto Sabatelli. Barese, classe 1947, è lui il nuovo commissario straordinario. Carica che mantiene fino al 2010, quando il governo Berlusconi lo promuove Commissario delegato: nomina, quest’ultima, che gli conferisce il ruolo di stazione appaltante. Nonché uno stipendio annuo di 290mila euro. “Equivale allo 0,3% dell’importo a base d’appalto”, precisa Sabatelli. Che da allora ha rischiato più volte di essere sollevato dall’incarico, salvo ottenere, puntuali, le conferme necessarie per poter andare avanti. L’ultima nel Milleproroghe del dicembre scorso, che prevede un rinnovo di altri 12 mesi.

La talpa incastrata: “È bloccata in un restringimento dall’agosto 2016” – Basteranno, perché la Pavoncelli bis venga conclusa? Sicuramente no. Perché nel frattempo la talpa scavatrice fatta arrivare appositamente dalla Germania nella primavera del 2014 si è bloccata. “Un imprevisto aumento di tensione”, è la frase che Sabatelli utilizza per spiegare lo stop. In sostanza, questa fresa meccanica lunga 220 metri è rimasta incastrata in un restringimento della galleria. Era il 28 agosto del 2016, e non si è ancora riusciti a rimediare. Inutile, a distanza di oltre 7 mesi, anche solo pretendere di capire la causa dell’incidente. “Non la conosciamo”, ammette il commissario. “Stiamo facendo degli studi per capire le possibili cause”. Nell’attesa che il rebus venga sciolto, si continua anche a provare a rimettere in funzione la fresa. I vari tentativi, fin qui effettuati, si sono rivelati tutti fallimentari. “Siamo passati ora a soluzione più impegnative. Dopo Pasqua – annuncia Sabatelli – proveremo a muovere la talpa”.

Dopo 32 anni, completati 6 chilometri su 10. “Le sacche di gas? A volte siamo costretti a sospendere gli scavi” – Risultato: dei 10,3 chilometri di galleria previsti, a 32 anni dal varo del progetto ne sono stati completati appena 6,2. “Siamo a buon punto”, dice comunque Sabatelli. Che argomenta: “Dal momento in cui la talpa si sblocca, se non risulterà danneggiata in 5 o 6 mesi gli scavi termineranno. Poi ci vorrà circa un altro anno per ultimare i lavori”. Sempre che, nel frattempo, non sorgano altri problemi. Come quelli legati alla presenza di gas, più volte denunciati dai comitati ambientalisti locali. “Delle sacche effettivamente ci sono, ma fin dall’inizio sapevamo a cosa saremmo andati incontro. Nel corso dei lavori sono state rilevate quantità superiori alle attese, e per questo abbiamo incrementato le misure di sicurezza per i lavoratori”. Sabatelli ci tiene comunque a ridimensionare gli allarmi. “Quando si parla di rischio esplosione, non si deve pensare all’eventualità che la galleria salti in aria, a meno che qualcuno non vada lì con un accendino in mano. Semplicemente, quando il livello di gas rilevato supera i valori minimi di sicurezza, interrompiamo gli scavi e aspettiamo che tutto torni nella norma”.

La vecchia galleria? “Potrebbe cedere con un’altra scossa” – Intanto la vecchia Pavoncelli continua a funzionare regolarmente. Tanto che c’è chi pensa che costruire un doppione sia inutile. “Lo pensa chi non conosce l’opera”, protesta Sabatelli. “La galleria originale sta, come diciamo a Bari, tienimi che ti tengo. Presenta insomma vari problemi, in particolare legati al rialzamento della calotta di fondo. Potrebbe chiudersi del tutto se arrivasse una nuova scossa”. E a quel punto, 37 anni dopo il terremoto del 1980, un’alternativa ancora non ci sarebbe.

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