In Prefettura la consegna delle medaglie d’onore di Mattarella

VENTICANO – Il tempo non cancella. La memoria scava un solco profondo anche nei cuori di chi resta, di chi ha ascoltato quelle storie di guerra, di sofferenza e prigionia. E dopo settant’anni arriva il riconoscimento del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Aristide Gabriele Pucillo, maestro elementare, morto diciotto anni fa, era un giovanissimo soldato del Regio Esercito Italiano quando fu fatto prigioniero dei nazisti sul fronte greco-albanese. Fu deportato in un lager, in Germania, q…

VENTICANO – Il tempo non cancella. La memoria scava un solco profondo anche nei cuori di chi resta, di chi ha ascoltato quelle storie di guerra, di sofferenza e prigionia. E dopo settant’anni arriva il riconoscimento del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Aristide Gabriele Pucillo, maestro elementare, morto diciotto anni fa, era un giovanissimo soldato del Regio Esercito Italiano quando fu fatto prigioniero dei nazisti sul fronte greco-albanese. Fu deportato in un lager, in Germania, quello famigerato di Dachau. Qui rimase quasi due anni e si salvò perché parlava molto bene il tedesco. “La salvezza arrivò dalla conoscenza della lingua germanica – racconta la nipote Barbara Ciarcia, giornalista -. Nonno mi raccontava spesso dei patimenti subìti allora. Il fratello, l’unico fratello Castellino, caporale universitario, scomparso nella campagna di Russia. Lui prigioniero in Germania, e addetto alla cucina del lager. Ha visto la morte in faccia e ogni volta che parlava di quell’esperienza piangeva”. Non poteva essere altrimenti. La salvezza a opera di un ufficiale tedesco. Il ritorno a piedi o su mezzi di fortuna, dopo mesi e mesi, fino a Castel del Lago, allora frazione di Pietradefusi, oggi di Venticano. La storia che riaffiora dalle labbra di Pucillo, educatore integerrimo di generazioni di studenti e fine latinista. La morte improvvisa con la speranza di avere sempre notizie su quell’unico fratello mai più ritornato dalla Russia. “Non poteva finire così una pagina di storia familiare- incalza sempre la collega Ciarcia -. Lo dovevo alla memoria di mio nonno Aristide e di zio Castellino che hanno sofferto gli orrori del secondo conflitto mondiale e del nazi-fascismo. Lo dovevo perché nonno mi ha inculcato la cultura liberale e socialista, i valori veri sui quali è fondata la Repubblica Italiana”.

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