La Suprema Corte, sesta sezione penale, presieduta dal Dott. Petitti e che ha visto come relatore il dott. Costanzo, in completo accoglimento del diffuso ricorso proposto dagli avvocati Dario Vannetiello ed Alfonso Furgiuele, ha annullato la condanna ad anni 16 e mesi 4 di reclusione irrogata a Pagnozzi Domenico in data 12.03.18 dalla Corte di appello di Napoli – IV sezione – .
L’accusa oggetto del processo è quella di aver diretto ed organizzato quella storica organizzazione operante oramai da oltre trenta anni nelle due province di Benevento ed Avellino, con propaggini nell’hinterland napoletano, in particolare a S. Giovanni a Teduccio, con significativa e recente ramificazione nella città di Roma.
Più volte in passato è stato indagato e processato più volte per omicidio, senza mai riportare la condanna all’ergastolo.
Il noto magistrato Raffale Cantone, allorquando era pubblico ministero in carica alla direzione distrettuale antimafia di Napoli, nel processo al famigerato clan del Casalesi, ne invocò la assoluzione con una sorprendente motivazione: camorrista carismatico che non doveva essere ritenuto intraneo ai Casalesi in quanto si era opposto con successo al tentativo di costoro di inglobarlo nelle loro impressionanti file.
Fu allora che i casalesi decretarono la sua morte alla quale “o professore” scampò in prima battuta per circostanze fortuite, poi per la sua capacità di tessere alleanze nel mondo criminale.
La direzione distrettuale della città capitolina da anni sostiene con determinazione che Domenico Pagnozzi, soggetto rispettato da esponenti di primo piano della ‘ndrangheta e da quelle che facevano parte della banda della Magliana, avrebbe esportato metodi e sistemi camorristici nella capitale d’Italia, iniziando ad imporsi nel lontano 2001 con l’omicidio del boss siciliano Giuseppe Carlino avvenuto sul litorale laziale.
Con la ultima decisione assunta dalla Suprema Corte, il processo è da rifare completamente innanzi a diversa sezione della Corte di appello di Napoli.
Ad oggi Pagnozzi è sottoposto al carcere duro ed attende la fissazione di altro processo in cassazione, quello per l’appunto relativo alla condanna ad anni 30 di reclusione per aver diretto due associazioni criminali nella città di Roma, una destinata al narcotraffico, l’altra finalizzata ad imporsi nella economia della capitale anche mediante violenza e minaccia.
Decisione questa che potrebbe determinare la fine della storia giudiziaria del boss campano o restituirlo di colpo e per l’ennesima volta alla libertà, come accaduto più volte in passato.