“Giovanni Limata e Elena Gioia in concorso morale e materiale tra loro, agendo con premeditazione consistita nella pianificazione lucida e meticolosa di tutte le fasi dell’agguato mortale cagionavano la morte di Aldo Gioia”. È quanto emerge dalle trentaquattro pagine di motivazioni della sentenza emessa il 24 maggio scorso nei confronti di Giovanni Limata ed Elena Gioia condannati a ventiquattro anni di reclusione per il delitto di Aldo Gioia, papà di Elena.
Non è escluso che i difensori dei due imputati condannati, Rolando Iorio e Silvia Rossi, impugnino la sentenza emessa dai giudici della Corte di Assise di Avellino.Ma anche i familiari delle vittime e cioè l’ avvocato Brigida Cesta che difende i fratelli della vittima, Giancarlo e Gaetano Gioia l’avvocato Francesca Sartori che difende la moglie e la figlia della vittima (mamma e sorella di Elena Gioia).
Secondo quanto ricostruito, la sera del 23 aprile del 2021 la famiglia Gioia è a casa. Papà Aldo dorme sul divano, la moglie è in camera da letto così come una delle figlie. L’altra figlia, Elena, esce per gettare un sacchetto di spazzatura. Rientrando in casa, lascia la porta aperta per fare entrare il fidanzato Giovanni, all’epoca dei fatti 23enne. I ragazzo colpisce Aldo Gioia, che gli sferra in più parti del corpo molti fendenti, di cui tre alla zona toracica. Il piano è quello di uccidere anche la madre e la sorella di Elena, ma le due sono state svegliate dalle urla della vittima e la loro reazione fa scappare Giovanni.
Elena prova a inscenare un furto, ma gli inquirenti non credono alla sua versione. Giovanni Limata ed Elena – fermati poche ore dopo il delitto – confessano l’omicidio e ammettono che la loro intenzione era quella di fuggire una volta “liberi” dalla famiglia.
Aldo Gioia fu rinvenuto dal personale della “Volanti” riverso nel salone di casa con la figlia Emilia che tentava di tamponare la copiosa perdita di sangue con una tovaglia. L’uomo sarebbe deceduto poco dopo la mezzanotte del 24 aprile 2021 all’ospedale Moscati di Avellino.
Nel corso del sopralluogo eseguito dal personale della polizia scientifica all’interno dell’immobile, nei locali sottoscala in prossimità dell’ascensore veniva rinvenuto un giubbino nero e un fodero di coltello di colore nero e all’interno del giubbino, oltre a capelli, biancheria e fogli di carta era stata rinvenuta una tessera sanitaria intestata a Limata Giovanni classe ’98 di Cervinara. Limata era stato scoperto presso l’abitazione dei genitori a Cervinara e in una borsetta nera era stata anche recuperata l’arma del delitto, consegnata dallo stesso imputato.
All’esame esterno eseguito sul corpo della vittima la salma di Aldo Gioia presentava ben 14 lesioni da arma bianca classificabili come lesioni da taglio localizzate sia agli arti superiori che a quelli inferiori. Le quattro all’altezza del torace avevano attinto gli organi interni. Le ferite erano compatibili con il coltello sequestrato. Lo stesso Limata, condotto in Questura dagli agenti della Squadra Mobile ammetteva di essere l’autore del delitto e soprattutto faceva il primo riferimento al coinvolgimento di Elena Gioia nella programmazione del delitto. Il processo con rito immediato era iniziato davanti ai giudici della Corte di Assise il 24 ottobre del 2021.