Clan Partenio, nuova e significativa udienza stamattina presso il tribunale di Avellino, per il processo, che vede alla sbarra i componenti dell’organizzazione criminale, accusati di tentata estorsione usura e turbativa d’asta.
In aula dinanzi al collegio presieduto dal giudice Gianpiero Scarlato a latere Giulio Argenio e Lorenzo Corona è ripresa la discussione dei difensori. Nel corso della requisitoria del Pm Antimafia Simona Rossi, avvenuta il 16 maggio 2023, dopo aver ripercorso cinque anni di indagine e tutti i principali episodi contenuti nelle oltre trecento pagine di ordinanza, a distanza di due anni e mezzo dalle misure cautelari, ha chiesto – complessivamente – 387 anni di reclusione per i 21 imputati. Il primo a prendere la parola in sula è stato l’ avvocato Patrizio Dello Russo difensore di R.F. che ha messo in discussione la validità delle prove raccolte dal nucleo operativo dei Carabinieri. Per il legale non c’è stata intestazione fittizia oggettiva di Società la cui costituzione non ha prodotto nessun effettivo guadagno da parte. Sebbene si sia proceduto a sequestrare documenti non c’è stato sequestro dei beni. Stiamo parlando di due società che sono in condizioni di miseria e sicuramente non sono e non potevano essere società in odore di camorra. A domande specifiche ai militari ascoltati in aula hanno confermato che non risulta che sui conti arrivassero soldi di illecita provenienza”. Al termine della sua arringa il difensore ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito .
Poi è stata la volta dell’avvocato Doria legale di fiducia di L.D.S. Il legale ha sottolineato che la posizione del suo assistito è stata marginale. “È l’unico imputato incensurato all’interno del processo e nonostante questo fattore il Pm ha chiesto di 18 anni di reclusione. L’avvocato richiamandosi a quanto affermato in fase dibattimentale da altri colleghi non sussistono i consueti reati della criminalità organizzata: estorsione aggravata, violenza.” Si parla di fantasie. Noi stiamo parlando di persone detenute in carcere anche se incensurate. Il mio assistito non ha potuto partecipare alla cresima della figlia, perché accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Applicare questi metodi a lui non ha senso. Non c’è mai stato contatto tra il mio assistito e gli altri imputati. Non ci sono prove di alcun tipo eppure è ancora sottoposto a misure cautelari”.
“È una persona che non hai mai contratto nemmeno una multa. Non ha mai fatto parte di un’ associazione mafiosa. Non è assolutamente vero. Ci sono soltanto le teorie del pm, ma senza nessun riscontro all’interno dell’ attività istruttoria. Al termine della sua arringa ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito. Per L.D.S. prende la parola anche l’avvocato Luca Nazario che sottolinea come il suo assistito abbia avuto contatti con il presunto clan Partenio “con un solo componente, il titolare del caseificio di proprietà dove lavora ed imputato nel processo”.
In aula poi è intervenuto l’avvocato Raffaele Bizzarro per la posizione di D. B. “Questa istruttoria ha fatto emergere discrepanze enormi con le attività investigative. Ci sono dei macigni in questo processo.” Il penalista solleva dubbi sull’affidabilità delle intercettazioni telefoniche e delle registrazioni del gps presentate come prove incriminanti, oltre la presunta associazione al clan. “La presunzione Investigativa è evidente. È del tutto carente la partecipazione del mio assistito è del tutto priva di basi solide. Non emergono prove di intimidazione o di usura da nessuna parte.il collegio dovrà prendere una decisione, ma dovrà farlo se vi è assoluta certezza che il pm abbia presentato prove concrete. L’accusa di associazione a delinquere non può basarsi unicamente sulle ipotesi del pubblico ministero. Il processo non dovrebbe essere influenzato dal convincimento delle proprie idee”. Infine il penalista ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito.
Successivamente, l’avvocato Bizzarro ha discusso anche la posizione di C.V. Anche in questo caso, il penalista ha messo in discussione l’applicazione dell’articolo 416 bis del codice penale, relativo all’associazione mafiosa. “Un’oppressione camorristica sul territorio non può essere considerata un’associazione. Sostenere ciò significherebbe riscrivere la storia. Abbiamo le sentenze che dimostrano che all’interno delle condanne per reati legati alla camorra, non è emersa alcuna prova di coinvolgimento del mio assistito. E’ stato iscritto per la prima volta nel registro degli indagati nel 2019 e, tra l’altro, il suo nome non era nemmeno annotato. Dai documenti presentati risulta che non è mai stato contattato né ha mai avuto conversazioni. Nessun atto dimostra che lui fosse un affiliato, figuriamoci una figura di spicco all’interno del clan”. Anche per lui il difensore ha chiesto l’assoluzione per l’insussistenza del reato.
Anche l’avvocato Antonio Del Vecchio ha partecipato alla discussione per la posizione di C.V. Il penalista ha messo in discussione, anche in questo caso, l’esistenza stessa del reato di associazione a delinquere e si è associato alle richieste del collega: “Non ci sono gli estremi del reato, anzi, si è andati a scavare nella preistoria criminale del territorio. Il Pm ha affermato che il vecchio clan Genovese sarebbe stato “fagocitato” dai moderni presunti affiliati. La mia obiezione di fondo è che non sia stata dimostrata neanche minimamente l’esistenza di un’associazione. Questa idea va addirittura in contrasto con il concetto di associazione semplice. Risulta evidente che gli elementi di prova e le notizie di reato non garantiscono neanche la possibilità di costruire il quadro del reato di associazione a delinquere. Per questi motivi appare del tutto impossibile configurare, per l’imputato, il ruolo apicale che riferisce il Pubblico Ministero”.
Dopo è stato il turno dell’avvocato Fernando Letizia. Quest’ultimo, insieme all’avvocato Dello Russo, difende R.F. “Gli organi inquirenti hanno utilizzato tutti i mezzi a loro disposizione, in particolare quelli di natura tecnologica, per condurre un’indagine completa. Tuttavia, non è emersa alcuna prova dell’esistenza di un’associazione malavitosa. Nonostante le intercettazioni telefoniche e ambientali, la massiccia sorveglianza tramite telecamere e ogni altro mezzo possibile, l’unica accusa rivolta all’imputato riguarda il suo ruolo di prestanome per società e il mantenimento di contatti con terzi. Ritengo che, affinché si possa considerarlo un affiliato e un partecipante alle attività del clan, siano necessari elementi inequivocabili; elementi che, nel corso della lunga indagine, sono certamente assenti”. Anche in questo caso, l’avvocato ha chiesto l’assoluzione da alcuni capi d’imputazione e la non applicazione della recidiva.
La prossima udienza è attesa per il 27 giugno, quando proseguirà la discussione dell’avvocato Aufiero relativamente alle posizioni di Nicola Galdieri e Carlo Dello Russo.