Castagnozzi: “L’Iribus? La cronaca di una morte annunciata”

“È, come nel romanzo di Gabriel Garcia Marquez, la cronaca di una morte annunciata”. Esordisce così la nota a firma di Lello Castagnozzi, Presidente di ‘Ariano Democratica’. “La chiusura dell’Irisbus di Flumeri era ipotizzabile già all’indomani dell’annuncio della sua realizzazione nei primi anni 70 – continua Castagnozzi -. La nascita di questa fabbrica, in un contesto avulso da un vero substrato industriale, e concepita solo per volontà politica, vale a dire per soddisfare le bramosie politiche di alcuni ras politici dell’Irpinia che sulle assunzioni pilotate hanno fatto parte della loro fortuna politica, era segnata già dalla posa della prima pietra. Ricordo quegli anni in cui nelle famiglie meno abbienti, nelle case dei contadini dell’intero comprensorio, arrivavano, anche nottetempo, le chiamate alle visite mediche, preludio all’assunzione in cambio di un occhio di riguardo alle elezioni che a quel tempo avevano cadenza quasi annuale. Gente calata da mille mestieri, senza nessuna esperienza di fabbrica, senza che nessuno si fosse preoccupato, qualche tempo prima, di creare le condizioni di formazione tecnica e culturale necessarie al funzionamento degli impianti e alla vita di fabbrica. Ma tanto a chi fregava nulla? Quell’azienda era l’ennesima cattedrale nel deserto, slegata da qualsiasi contesto, impiantata in un processo produttivo essenzialmente agricolo e in una delle valli più belle e prolifiche a livello agrario. Non importava. La politica di quegli anni si occupava di altro. Rafforzare il proprio potere attraverso la clientela, la promessa di un posto di lavoro sicuro – per quanto tempo non si sapeva, ora si sa – offrire il miraggio di un posto in fabbrica lontano dalla fatica immane e stentata di un’agricoltura che non è mai stata indirizzata, dalle nostre parti, verso uno sviluppo vero, capace di garantire una redditività e una socialità sufficiente non solo a sopravvivere ma a assicurare una vita dignitosa. Nasce quest’opificio ma mai si consolida perché è insito, nella sua natura, il carattere della provvisorietà. Si regge e si reggerà per gli anni successivi sulle commesse pubbliche quindi, non su un vero mercato ma, su quello che propone lo Stato, le Regioni, in breve su quello che suggerisce il capriccio della politica. E quelli erano anni in cui la spesa pubblica era un comma, una virgoletta in mezzo alle finanziarie. Il problema non era frenare il debito pubblico ma garantire la sopravvivenza di una certa politica. Non si pensò mai di allargare e creare un vero processo industriale, non si pensò mai alla nascita idi un vero indotto, fatto salvo per alcune piccole realtà, non si pensò minimamente a creare infrastrutture e a coinvolgere in maniera determinante, sfruttando il traino positivo che poteva avere la Fiat, altre aziende del nord Italia o europee. Bastava questo che insieme ad altre piccole e mediocri strutture riuscivano e riescono a garantire quella striscia di potere necessaria alla sopravvivenza del sistema. Ne è esempio la sanità in Irpinia con i tre presidi ospedalieri di Ariano, Bisaccia e Sant’Angelo dove in tanti decenni di gestione nessuno ha pensato veramente di creare un polo d’eccellenza ma sono state fatte sguazzare nell’ordinario e nella mediocrità più stretta fino a tirargli il collo perché, almeno per due fin’ora, inutili e improduttive. Prossimamente toccherà ad Ariano e sarà un’altra morte annunciata. Il vento è cambiato, gira da tutt’altra parte. Ora sono i bilanci e la crisi a farla da padrone. Non ci sarà nessun salvataggio, nessun intervento dall’alto. Anche i media nazionali si tengono doverosamente alla larga: tanto non contiamo nulla sul piano politico e quelle piccole individualità, peones in politichese, che qualcuno mostra con orgoglio nei convegni, sono impegnati a cavar soluzioni dalle cave dismesse o a trovare rimedi contro il cinipide del castagno, argomenti nobilissimi e importanti, ma da delegare a un pool di tecnici, e altri impegnati a costruire e organizzare logge massoniche. La responsabilità di quello che sta avvenendo a Flumeri deve essere condivisa da tutti. Da noi cittadini comuni che abbiamo permesso il radicamento di una classe politica inetta e irresponsabile e, principalmente, dai politici incapaci di gestire, progettare e prevedere uno sviluppo compatibile e possibile per il nostro territorio. Ci siamo alimentati per anni di sciocchezzai assurdi come il regio tratturo o la piattaforma logistica, ci siamo divisi su banalità politiche senza avere alcuna visione lunga e reale dei problemi che avremmo dovuto affrontare in un futuro che oramai è già presente. Dubito fortemente che incatenarsi o organizzare cortei o raccogliere espressioni di solidarietà possano risolvere qualcosa. Sarà sicuramente un processo lungo, difficile per certi versi arduo, di ricostruzione e recupero rispetto a una condizione che ci scaraventa di colpo, economicamente e socialmente, agli anni 60, ma, l’unica strada possibile che riesco a percorrere con le idee è quella di una riscossa e di una rivoluzione politica che veda al primo posto, come obiettivo primario, il rinnovo della classe dirigente, iniziando dall’Irpinia e coinvolgendo tutti in un processo di cambiamento radicale in cui il soggetto e arbitro della situazione ridiventi o, meglio, diventi il popolo, titolare unico del suo destino e delle sue aspettative. Adesso il numero è ottocento, mille. Mille famiglie senza un futuro che vanno ad aggiungersi alle altre migliaia di disoccupati e precari della nostra provincia, domani, con certezza il numero salirà in maniera esponenziale perché le persone, in questo contesto politico economico, rappresentano meno delle formichine di questa estate amarissima”.

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