«Abbiamo negoziato le nuove condizioni del patto di stabilità con l’Unione Europea riuscendo anche ad ottenere un impatto diverso rispetto alle precedenti misure che puntavano ad una austerity eccessiva. Stiamo dimostrando di essere un governo coeso, con un preciso controllo dei conti pubblici. I primi risultati si sono registrati con la nuova fiducia riconosciuta dai mercati e dalle agenzie di rating che attestano la credibilità del progetto di ristrutturazione dell’Italia. Senza più subire le coercizioni dall’esterno». Queste le parole di Luca De Carlo (Fratelli d’Italia), presidente della Commissione industria, commercio, turismo e agricoltura a Palazzo Madama, nel corso del Cnpr forum “Equilibri sotto esame: le nuove regole del patto di stabilità” promosso dalla Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta, da Luigi Pagliuca.
«Dobbiamo far fronte a un deficit fuori controllo ereditato dai precedenti governi – ha aggiunto De Carlo – frutto di una gestione errata del reddito di cittadinanza e del superbonus. Queste due misure hanno gravato sui bilanci dello Stato per oltre 174 miliardi di euro. A prescindere da ciò che ci chiede l’Europa dobbiamo strutturarci affinché non si verifichi più l’ipotesi di conti fuori controllo con scarsa attenzione alla finanza pubblica. Noi avremo grande attenzione per questo, mettendo fine all’errato utilizzo delle risorse pubbliche a avviando politiche di rilancio dell’economia».
Di parere opposto Antonio Misiani (responsabile economico del Partito Democratico e vicepresidente della Commissione Bilancio al Senato): «Il governo ha accettato e subìto l’accordo franco-tedesco sul Patto di stabilità interno che è molto peggiore rispetto alla proposta della Commissione europea e reintroduce regole improntate all’austerità, riducendo gli spazi di bilancio negli anni a venire. In Italia partiamo da una condizione di indebitamento intorno al 140% del pil. Bisogna agire sul lato delle entrate con l’allargamento della base imponibile e la riduzione dell’evasione fiscale. Bisogna poi intervenire sulla spesa pubblica reintroducendo un processo di revisione con un lavoro capillare e senza tagli lineari come invece sta facendo il governo. Di fatto il nuovo patto di stabilità è una specie di gabbia per il nostro Paese. Dopo le elezioni europee entreremo in procedura di deficit eccessivo e ci troveremo regole molto vincolanti. L’accordo avallato dal governo Meloni ristabilisce la politica dell’austerità con l’aggravante della mancanza di strumenti comuni europei per finanziare i beni pubblici, la transizione ecologica e quella digitale».
Secondo Alessandro Cattaneo (deputato di Forza Italia in Commissione Politiche dell’Unione Europea a Montecitorio): «Il tema del rientro dal debito costituisce una priorità. Non dobbiamo farlo perché qualcuno ci obbliga bensì per noi stessi. Solo di interessi paghiamo oltre 100 miliardi di euro, una cifra monstre. Rientrare da questo passivo serve per liberare nuove risorse da destinare al miglioramento dei servizi per i cittadini. Per uscire da questa condizione la strada maestra è quella di aumentare il prodotto interno lordo. Se il pil cresce il debito si assorbe e si riescono a varare leggi di bilancio impattanti per gli italiani. Dobbiamo aprire all’iniziativa privata, tagliare la spesa pubblica improduttiva, valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico. Diciamo ‘no’ all’austerità e ‘si’ a una crescita incoraggiata e robusta mettendo imprese e partite iva nelle condizioni di operare. Dobbiamo prendere coscienza che un debito elevato e costante non è sostenibile oltremodo. Ci priva di una libertà di azione preziosa. Non ci sarà una sovranità limitata, siamo un grande Paese e rispetteremo quei vincoli. Pronti a vincere una sfida che raccoglie in sé enormi potenzialità».
Critico con il governo Filippo Scerra (parlamentare del M5s in Commissione Politiche Ue alla Camera): «La trattativa sul patto di stabilità e crescita condotta dal governo ha avuto un esito nefasto, estremamente penalizzante per il nostro Paese. Con queste misure non si permetterà più a un paese indebitato come il nostro di poter continuare ad investire in politiche espansive che gli hanno consentito di crescere oltre il 12% negli anni in cui abbiamo potuto esercitarle. A giugno la Commissione europea ci darà la traiettoria da seguire. Noi suggeriamo al governo di ottimizzare la spesa pubblica anche se il danno principale è stato già fatto. Ci aspettano purtroppo anni difficili. L’UE valuterà a partire dal 2025 le eventuali deviazioni rispetto alla traiettoria indicata valutando la spesa netta. A questo controllo si aggiunge quello delle grandezze strutturali previsto nelle procedure per debiti eccessivi come il nostro. In sintesi non ci sarà un singolo controllo su ogni provvedimento ma sotto questo punto di vista possiamo parlare di sovranità limitata perché non potremo effettuare liberamente investimenti sulla transizione ecologica e digitale».
Nel corso del dibattito, coordinato da Anna Maria Belforte, il punto di vista dei professionisti è stato espresso da Mario Chiappuella (commercialista e revisore legale dell’Odcec di Massa Carrara): «Le nuove regole del Patto di stabilità prevedono che il rientro dal deficit inizi già da giugno 2024. Il nostro debito è al 140% del pil. Servono misure concrete per garantire la sostenibilità finanziaria del nostro Paese. Bisogna evitare di diventare un Paese a sovranità limitata per la quale ogni provvedimento dovrà essere preventivamente vagliato dall’Unione europea».
Le conclusioni sono state affidate a Paolo Longoni (consigliere dell’Istituto nazionale esperti contabili): «A seguito della contrattazione tra i paesi membri dell’Unione europea si è giunti al nuovo patto di stabilità, alla cui contrattazione faticosamente ha partecipato anche il nostro governo. Dopo la sbornia della pandemia, durante la quale tutti hanno finanziato in deficit, anche l’ultima legge di Bilancio è stata fatta con una formula espansiva dello stesso debito. Il governo si è assunto la sua responsabilità ritenendo di fare bene, ma adesso il nuovo patto prevede che in un arco di dieci anni si rientri nel rapporto corretto tra deficit e Pil proponendo un piano di aggiustamento di durata quadriennale che può essere allungato a sette anni se è collegato a un programma di investimenti sotto monitoraggio della Commissione Europea.
L’obiettivo è quello di mettere il rapporto debito – Pil su un percorso decrescente nel decennio a venire. È condito, però, da due regole che sono molto pesanti per il nostro Paese. La prima è che il rapporto debito – Pil deve ridursi ogni anno di almeno un punto, è la regola quantitativa; il secondo vincolo riguarda il disavanzo, non è più sufficiente garantire che il rapporto debito – Pil rimanga al sotto la soglia del tre per cento per i paesi che hanno un debito maggiore del 90 per cento del Pil. E noi siamo al 140%. Si tratta ancora una volta di regole quantitative molto pesanti e il nuovo obiettivo sul deficit è assolutamente difficile da raggiungere per un Paese come il nostro. Quello che occorre è un programma di miglioramento attento che deve avere un respiro lungo. E qui deve entrare in gioco la capacità di fare politica e cioè di elaborare strategie di gestione che portino al miglioramento del nostro deficit primario».