Un Natale tradizionale: l’esperienza a San Pietro di Montoro


Questi giorni di inizio anno hanno sempre qualcosa in comune con gli anni trascorsi, il pensiero è rivolto agli eventi vissuti e alle sensazioni, da poco passate, che il Natale porta sempre con sé in tutti gli ambienti: odori, luci, regali.

Ebbene, sento di  raccontarvi di una spiacevole impressione da me provata nei giorni natalizi appena trascorsi, allorquando mi sono recato nella Chiesa dedicata ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, nel  “villaggio” (espressione con la quale la attuale frazione veniva denominata anticamente) di San Pietro di Montoro (Av). 

Appena varcata la soglia della chiesa, la mia attenzione è stata catturata da una palancata apposta in fondo alla navata, al davanti dell’Altare laterale “in cornu evangelii”, delle fattezze di un alto scatolone di carta marrone, un insignificante disestetismo.

Avvicinandomi, notavo che intralciava anche il passaggio verso l’Altare maggiore, e, non da ultimo, copriva quasi completamente il dossale architettonico (paliotto, mensa e pala d’altare). Ruotandoci intorno, osservavo che la palancata era stata allestita a mò di edificio (ma le Sacre scritture non riferiscono di una grotta/capanna?) con all’interno dei manichini di moderna fattura decisamente poco empatici e assolutamente di nullo stile artistico/estetico.

Sentirmi dire: “ma è la Natività” mi ha fatto comprendere il valore che si dà alla commercializzazione moderna e persa, al teatralismo religioso, al fanatismo collettivo e alla voglia di oscurare il bello, l’arte, l’antico, il nobile.

Come si fa ad apporre una sì fatta palancata davanti ad un Altare nel  cui tabernacolo era, per anni, custodito il calice con l’Ostia consacrata, ove il celebrante, inginocchiandosi, a due mani attingeva e dispensava l’Eucarestia?

Insomma, v’era una pretestuosa casa della Nativita’ posta davanti al punto in cui il Corpo di Dio per anni ha atteso, ogni giorno, lì nel tabernacolo, luogo di preghiera, per offrirsi quale Cibo di Vita Eterna. 

Sul suddetto Altare capeggia,inoltre, l’opera ottocentesca di  Nicola Pepe che rappresenta proprio la Sacra Famiglia:  San Giuseppe che legge le Sacre Scritture, Maria che stringe a sé il Bambino che ha lo sguardo rivolto a noi che Lo osserviamo.

Nicola Pepe era imparentato con la famiglia Galiani, a cui l’altare si riferisce: sul marmo, alla base, si legge, infatti, una scritta: “Cajetanus Ferdinandi filius ex dynastis Galiani patronus”, e, da un lato, si legge anche: “Anna Galiani Buonfiglio ex sua devotione 1913”.

Alla famiglia Galiani appartennero  personaggi quali l’Abate Ferdinando Galiani, illuminista, Vincenzo Galiani, primo Martire della libertà ucciso a 24 anni in piazza Castello a Napoli nel 1794, per citare i più noti, fino a ad arrivare ad Anna Pia che per anni ha presieduto l’associazione religiosa del Sacro Cuore di Gesù, passando per Aurelio Galiani, suo genitore, già sindaco di Montoro ed autore di un testo consuntivo di tutte le usanze e i detti e le tradizioni storiche e i sentimenti del popolo montorese.

Non da ultimo, il canonico don Giovanni Galiani che, nei primi anni del ‘900, arricchì la medesima  Chiesa, di cui all’epoca era parroco, di valori materiali e spirituali.

Gli eredi, ad oggi, conservano l’antica dimora nello stesso villaggio di San Pietro e  custodiscono gli stessi valori nel tempo: essi rappresentano, a mio avviso, una fonte inesauribile di notizie storiche.

Ma i tentacoli di scarsa cultura dilagano molto facilmente in questo mondo e non si fa più tesoro di perpetue tradizioni, le uniche generatrici di passioni, di storia e di buoni sentimenti. Impariamo a capire cosa conservare.

Potrebbe essere un principio da insegnare nelle scuole.  Non oscuriamo, proprio a Natale, un presepe storico che è gia’ presente permanentemente.

Elena Picciocchi

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