Province, De Angelis: “O si raccoglie la sfida o meglio abolirle”

POLITICA AVELLINO – “La discussione in tema di riforma delle province è politicamente e socialmente ad un punto di non ritorno. Alla luce delle recenti disposizioni normative, visto il malessere crescente di gran parte della popolazione nei confronti delle istituzioni locali, complici l’aumento dei costi della politica e l’inefficacia delle risposte amministrative, è inevitabile dare vita ad una riforma. Anche se si volesse prescindere dall’art.23 del decreto Salva Italia, la cui disposizione potrebbe subire, da parte della stessa Corte, una declaratoria di incostituzionalità, occorre raccogliere la sfida. Bersaglio plurimo e privilegiato, la Provincia sta vivendo una fase di profonda e paradossale incertezza”. E’ quanto afferma Carmine De Angelis, consigliere provionciale dell’Mpa.
“Un’incertezza – prosegue – che a fasi alterne ha alimentato il tema della sua abolizione e perpetuato, all’opposto, gli interessi clientelari, i disservizi e le “bulimie” degli enti strumentali creando i presupposti per nuove duplicazioni e sovrapposizioni di ruoli. In una parola, oggi la Provincia si trova “sotto il fuoco incrociato” degli abolizionisti sui generis o della “casta” dei conservatori. A ben vedere le tesi degli abolizionisti e degli stessi conservatori sono, su due fronti opposti, diametralmente “opinabili”. Da un lato, entrambi confondono la necessità di prevedere un ente intermedio con quella di individuare tal ente nella Provincia, dall’altro sovrappongono l’aspetto descrittivo (le funzioni provinciali definite sulla base della legislazione ordinaria) con quello prescrittivo (la configurazione da dare all’ente intermedio con riferimento alla prescrizione costituzionale).
Verosimilmente, per superare ogni posizione diretta ad un inseguimento del consenso, senza alcun fondamento conoscitivo, è necessario inquadrare le sorti della provincia nel quadro evolutivo del federalismo all’italiana. In tale quadro la presenza della Provincia appare superflua e inadatta, visto l’accresciuto peso sia della Regione e il rafforzamento del ruolo amministrativo del comune (anche attraverso il potenziamento dell’unione dei comuni e il superamento dei cosiddetti “comuni polvere”).
Il riconoscimento costituzionale della Provincia, rafforzato dal disegno di revisione del 2001 , dovuto anche alla abrogazione dei tradizionali controlli sugli atti amministrativi di cui agli artt. 125, I comma, e 130 Cost. e dall’autonomia statutaria e regolamentare (art. 117, VI comma Cost.), si precisa nell’individuazione delle funzioni fondamentali e dalla loro modalità di svolgimento ed esercizio. Una rivisitazione e riorganizzazione dei poteri locali rispetto al previgente regionalismo praticato nel paese, si mostra oggi allora una esigenza ineludibile giacché con la riforma costituzionale il Testo Unico degli enti locali, soprattutto nelle parti che riguardano la disciplina delle materie di competenza esclusiva statale, deve ritenersi viziato per incostituzionalità. Fermo restando il quadro costituzionale di riferimento, ci sono quatto ambiti su cui si può agire: riassetto complessivo degli enti locali e approvazione della Carta delle autonomie, allocazione di nuove funzioni, l’estensione territoriale, gli organi di governo. Il disegno istituzionale si deve esplicitare, sulla scorta dei precedenti “fallimenti”, nella capacità di coinvolgere al massimo gli attori principali del novellato Titolo V della Costituzione e nel superamento di una logica “a spezzoni”, spesso contraddetta dagli interventi normativi “d’urgenza” o di natura finanziaria. Il processo di individuazione delle funzioni è quello più delicato! La legittimazione di un ente locale non si palesa nella sua persistenza storico-sociale, quasi che l’anzianità della provincia meriti rispetto e immodificabilità. Occorre chiedersi se, così come sono strutturate, le funzioni delle Province sono efficienti, efficaci e rispondano alle esigenze territoriali. Occorre, dunque, spostare il terreno della riflessione da un punto di vista funzionale.
L’intervento di riforma non può agire infatti (come fa invece l’art. 23) riducendo, se non addirittura svuotando il ruolo delle Province. La soluzione proposta sarebbe, al contrario, controproducente e deleteria: un veleno più che una medicina. La legge statale può e deve – ex art. 117, comma 2, lettera p) – individuare le funzioni fondamentali delle Province, ma in un’ottica di riallocamento complessivo delle funzioni tra i diversi livelli di governo. Quali funzioni allora possono essere individuate in capo all’Ente di area vasta? Non le funzioni storicamente proprie del livello provinciale, tra le quali quelle tradizionali di edilizia scolastica, di viabilità, di mercato del lavoro, giacché tutte espletabili in modo efficiente e rispettoso del principio di sussidiarietà dai comuni, dall’unione dei comuni e dagli organismi di governo statale. Una traccia potrebbe essere rinvenuta paradossalmente nello stesso pacchetto di misure finanziarie approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 20 gennaio, meglio conosciuto come decreto sulle liberalizzazioni.
All’art.26 del dispositivo si sostiene che l’organizzazione dello svolgimento di servizi pubblici locali deve essere data in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei individuati in riferimento a dimensioni non inferiori alla dimensione del territorio provinciale. Con l’introduzione di tale principio i servizi pubblici locali a cui la novella disposizione sembra far riferimento sono organizzati per ambito ottimale. Il Governo Monti individuando la dimensione provinciale quale limite ottimale per la gestione integrata dei servizi pubblici locali, al di là della profonda incoerenza che caratterizza il legislatore negli ultimi anni, offre una via d’uscita indiretta alla stessa genericità delle funzioni della Provincia. Se infatti le autorità d’ambito per la gestione dei servizi pubblici locali sono state soppresse, se sulle province è calato definitivamente il sipario, non si comprende quale ente intermedio dovrà svolgere tali funzioni? I nuovi ambiti funzionali della provincia devono potersi esprimere nell’espletamento dei servizi pubblici locali, ovvero risorse idriche, trasporti, titolarità della gestione integrata dei rifiuti, controllo e monitoraggio del suolo e territorio.
Delicato e complesso appare l’intervento in materia di ridefinizione dei confini delle circoscrizioni territoriali, soprattutto a causa del coinvolgimento dei Comuni cui fa riferimento l’art. 133 Cost. La riduzione del numero delle attuali 109 Province necessiterebbe di tempi e modi dedicati, ma comunque inderogabili dal momento che 47 disegni di legge propongono l’istituzione di 25 nuove Province. Ridurre e semplificare tenendo conto dello spazio d’iniziativa comunale e della consultazione regionale. Ultimo ambito di intervento sono gli organi di governo. Le scarne indicazioni che l’art. 23 del decreto Salva Italia dà in materia di organi di governo delle Province, disegnano un mostro istituzionale, un sistema di elezione di secondo grado che riduce gli spazi della rappresentanza e comprime le esigenze territoriali.
L’eliminazione dell’organo esecutivo (la giunta) ed il superamento dell’elezione diretta del presidente della Provincia rendono ancora più forte il distacco di tale ente con la cittadinanza.
Occorre ripensare un modello di governo locale che da un lato tenga conto delle funzioni assolte e dall’altro del ruolo di cerniera istituzionale tra regioni e comuni. Se si organizza un consiglio provinciale, ridotto nel numero ma direttamente eletto dal popolo, affiancato da un direttorio ristretto eletto dai Comuni ricadenti sul territorio della Provincia ed i cui componenti, a turno, si alternino alla Presidenza, si costruirebbe un governo provinciale che garantirebbe allo stesso tempo la legittimazione popolare e la rappresentatività del livello comunale.
Le province – conclude De Angelis – sono pronte a fare la loro parte, non trincerandosi in una sterile rivendicazione dello status quo, né avallando gli altanellanti capricci della vera casta, la quale intimorita dai sussulti della piazza e insospettita su possibili riduzioni dei privilegi spera di cavarsela smontando e sacrificando all’altare sociale l’ente Provincia”.

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