D’Andrea: “Combattere il declino culturale e sociale dell’Irpinia”

POLITICA IRPINIA – “Gli entusiasmi della ricostruzione post-terremoto, di quel periodo cioè di discrimine tra un prima e un dopo che sarebbe stato migliore, oggi sono ormai sopiti a tal punto da finire con l’essersi annientati in una sorta di narcotica rassegnazione, molto diffusa, spaventosamente indolente. Avellino sta addirittura perdendo il suo status di capoluogo di una provincia, che, per colmo di ironia, tratterrà comunque il suo nome di “Irpinia”, e, nelle more, offre di sé il volto di una città stravolta nella memoria e incompiuta nei tratti e nelle fattezze”. E’ quanto afferma l’esponente di Italia dei Valori, Aldo D’Andrea.
“L’Irpinia, con futuro capoluogo…Benevento, nel frattempo si accascia frastornata dai duri colpi di maglio a lei assestati: sottrazione di assistenza sanitaria, sottrazione della mobilità su rotaie, sottrazione di acque, sottrazione di lavoro, ed in sintesi, sottrazione di aspettative di civiltà. Tutto questo – prosegue D’Andrea – nell’incuria o, ancor peggio, nella penosa strategia della Amministrazione della regione Campania, terminale ultimo e vero del disastro che si sta concependo a danno del nostro territorio. Però da un po’ in città, quasi nella inconsapevolezza di quanto sta accadendo ai nostri “luoghi”, gira voce e si amplifica che, colpevole di scempi e misfatti, sia l’ormai ex sindaco Galasso. A ciascuno la sua colpa, dovrà riconoscersi, o sarà solo il gridare all’untore.
Ed è pure fumosa, o ancorché strana, questa voce, visto che sono noti il ruolo e le funzioni limitate del Sindaco, di cui, del nostro, nemmeno poi se ne è mai sentita fin’ora esaltare troppo l’autorevolezza; ne verrà che questa specie di caccia contro, tenderà ad esaurirsi “motu proprio”, per la sua evidente leggerezza e strumentalità, e perché nasconde fini di sicuro fuorvianti. Galasso avrà sue colpe, certo, ma tentare di affibbiargli le sventure di cui Avellino e l’Irpinia sono state vittime negli ultimi trent’anni, mina la credibilità di quanto si ascolta. E poi, continuare su questi sentieri fa perdere alla politica solo il senso del concreto. Auspicabili e lodevoli sarebbero, invece, sforzi orientati ad unità di intenti, ed in campo aperto, dove un comune denominatore andrebbe finalmente a riconoscersi unicamente nella volontà di cercare ragioni stimolanti e ponderate, e con la positiva aspirazione ad invertire una rotta che già ora è partita in confusione, o almeno che appare solo mossa da un immaginario che disegna ipotetici spazi da occupare, come fossero accampamenti di accoglienza per ancor più ipotetici futuri “confronti”. “Déjà vu”, e annessi insuccessi finali, dovrebbero evitarsi, anche per non rendere ancora più sgradevole l’immagine della politica” – conclude D’Andrea.

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