“Il partito democratico è preda di una grave crisi politica: crisi di linea politica e di leadership. Anche sulla questione Fiat il gruppo dirigente appare diviso e confuso. Lo stesso segretario nazionale, Pier Luigi Bersani, più volte smentito dal gruppo dirigente, non riesce a mettere in campo un progetto politico moderno e rinnovato ma si attarda su vecchie formule politiche che non risolvono la crisi del partito”. E’ quanto affermano il delegato provinciale Pd, Andrea Forgione e il componente del coordinamento circolo Pd Martin Luther King di Paternopoli.
“In realtà, – prosegue la nota – la crisi del Pd è tutta nella rottura del dialogo fra le oligarchie che reggono il partito e i cittadini attanagliati dalla crisi economica a cui non ha saputo fare fronte il governo Berlusconi. Purtroppo, però, la risposta del gruppo dirigente Pd non va nella direzione di aumentare i momenti di partecipazione dei cittadini e nella definizione di una linea politica chiara ed efficace che parta dal basso, ma, bensì, si attesta su giochi di palazzo che salvano solo i privilegi degli aristocratici parrucconi, professionisti della politica.
Da questa crisi politica poi non si salva neanche chi cerca di scimmiottare in periferia l’accordo Bersani-Franceschini, come fa il partito democratico irpino. Infatti, alle politiche del 2008 il Pd irpino raccolse più di ottantamila voti mentre alle regionali del 2009 ottenne circa la metà, ovvero quarantamila voti in meno. Stessa sorte è toccata al tesseramento. Dai diecimila iscritti del 2009 siamo passati ai cinquemila di quest’anno. Nel 2008, durante la segreteria Vittoria, il PD contava ben novantasei circoli cittadini, oggi ne conta appena ventuno. Bastano solo questi pochi elementi per leggere in modo chiaro tutta la crisi che investe il nostro partito provinciale.
Ora, di fronte a una crisi così profonda occorrerebbe cambiare radicalmente l’azione politica ed invece il gruppo dirigente provinciale non trova altro che inventarsi un accordo fra capibastone, ovvero fra i padroni delle tessere. Questa scelta non può che aggravare la crisi di consensi e di credibilità del partito anche perché plasticamente i cittadini continuano a vedere all’apice del partito provinciale i vecchi “mangiafuoco”: coloro che hanno guidato per decenni il PCI, il PDS, i DS e i residui del vecchio modello demitiano: politici “bravi” per tutte le stagioni.
Su questo schema però la gente finirà per voltare definitivamente le spalle a un partito che era nato per innovare e rinnovare la politica. La soluzione quindi non è quella di rappresentare all’esterno un’unità fittizia, magari con una foto di gruppo, ma quella di aprire una seria riflessione sulle responsabilità politiche dello sfascio del partito e sulla possibilità concreta di rinnovare la classe dirigente. Anche perché, se oggi siamo arrivati sull’orlo del baratro, dei responsabili ci dovranno pur essere. Non si può continuare a far finta di niente di fronte al considerevole calo di consensi e di appeal elettorale. Anche i dirigenti del Pd irpino leggono il momento difficile, avvertono la debolezza, ma, come sempre accade fra le oligarchie, pur di non arretrare di un sol passo, trovano le ragioni per unirsi nella convinzione, a nostro avviso sbagliata, che quattro debolezze messe insieme possono fare una forza. Ancora una volta, la risposta che l’oligarchia partitica restituisce ai cittadini è quella di una manovra di palazzo, ovvero, quella decisa intorno al caminetto che tuttavia non riuscirà mai a scaldare i cuori dei cittadini.
Eppure, chi dice di avere a cuore il partito, dovrebbe abbandonare, una volta per tutte, le vecchie liturgie e parlare un linguaggio chiaro con la base elettorale, coinvolgendo in primo luogo i territori e i suoi rappresentanti. Invece di prendere decisioni intorno ad un caminetto, il Pd provinciale se intende davvero ripartire dovrebbe convocare al più presto l’assemblea dei cento delegati per discutere dei problemi ed elaborare una linea politica, frutto del lavoro collettivo, che tiene conto delle esigenze di tutto il territorio irpino. Questo però significa che la classe dirigente deve cominciare a navigare in mare aperto e sapersi mettere in discussione nell’interesse del partito e della collettività. Sarà possibile tutto ciò, oppure alla fine gli oligarchi di sempre troveranno un accordo al ribasso che confermi i vecchi rapporti di forza, anche se, per un fatto di facciata, accetteranno di allargare l’esecutivo a qualche signorina o giovanotto che risponde ai loro ordini? Noi veltroniani non possiamo partecipare al gioco del gattopardo anche perché il partito democratico è nato per dare una speranza di futuro agli italiani. Quindi, a cominciare dalle realtà locali e in particolare dalla nostra provincia, il Pd abbandoni lo schema di gioco che tiene in sella solo aristocratici parrucconi, professionisti della politica, e inizi finalmente a navigare in mare aperto per incontrare la gente in carne ed ossa. Solo così potrà risorgere”.