“Il riordino dei piani di zona è divenuto un fatto necessario non solo in relazione alla crisi economica generale che negli ultimi tre anni ha falcidiato quasi tutti i settori, compreso quello delle politiche sociali (finanziate per l’80% dal governo centrale), ma anche in virtù di un progressivo allontanamento del sociale stesso dallo spirito della sua legge istitutiva (L.328/ 2000).
L’UDC provinciale – prosegue la nota del coordinamento – ha realizzato negli ultimi mesi importanti iniziative su questo tema, istituendo in particolar modo un gruppo di lavoro composto da sindaci, referenti istituzionali e rappresentanti del terzo settore di tutti i piani di zona della provincia di Avellino. Il gruppo di lavoro ha evidenziato una serie di criticità emerse in questi anni nelle attività svolte dai piani di zona.
Il fallimento delle politiche di integrazione socio-sanitaria, ad esempio, è sotto gli occhi di tutti (basti pensare agli innumerevoli contenziosi tra i Comuni e l’Asl). Come pure il coinvolgimento del territorio e dei suoi mondi vitali (dal volontariato al terzo settore in generale) è rimasto spesso sulla carta, a discapito di una seria logica di sussidiarietà.
La programmazione di attività e servizi è risultata sovente astratta e calata dall’alto. E soprattutto ci si è mossi dentro una perversa logica di deficit spending che ha alimentato talvolta più burocrazia che servizi reali. In particolare il metodo della “rendicontazione” utilizzato dalla Regione sin dalla nascita dei piani di zona (più spendi più soldi avrai) ha fatto sì che servizi fondamentali, come ad esempio le non auto-sufficienze, fossero organizzati più sulla quantità che sulla reale selezione del bisogno.
Nella provincia di Avellino, inoltre abbiamo assistito ad una sorta di tacita concorrenza tra i piani di zona stessi, i quali anziché muoversi in sinergia hanno viceversa posto in essere attività, regolamenti, bandi di gara, prestazioni, servizi, costi talmente disomogenei tra loro da non sembrare di trovarsi nella stessa realtà provinciale. Non si può parlare di sociale, pertanto, se in premessa non si parte da una severa analisi di ciò che è stato fatto in passato e da una doverosa selezione di ciò che si dovrà fare in futuro. A tutto ciò si aggiunge il tanto dibattuto problema della soppressione dei consorzi di funzione al primo rinnovo dei Cda successivo al 31/12/2011 (legge n. 42 del 26 marzo 2010).
Il tavolo tecnico dell’Udc ha ritenuto doversi muovere su 4 direttrici prioritarie e fondamentali: 1) organizzare i piani di zona attraverso lo strumento giuridico più snello, fluido, che semplifichi e non crei doppioni ovvero nuovi enti con nuovi e insopportabili costi; 2) saldare ancor di più sociale e sanitario e quindi Asl e piani di zona 3) rilanciare il ruolo del volontariato e del terzo settore in generale; 4) attivare soluzioni innovative sul piano della gestione dei servizi. Sulla base di queste linee guida è emersa una proposta che schematicamente si può così sintetizzare:
PROPOSTA
a) Si propone che ogni ambito e quindi i relativi comuni scelgano la forma della CONVENZIONE ex art. 30 Testo Unico EE.LL. per riorganizzare la funzione del sociale sul territorio d’appartenenza
b) ogni convenzione potrà coincidere col rispettivo distretto socio-sanitario. L’ipotesi è che il soggetto capofila sia l’ASL
c) l’Asl quindi potrà aderire ad ogni singola convenzione e ne diverrebbe parte integrante con la possibilità di attivare, nel contempo, il fondo d’ambito per far confluire le risorse e per la gestione in solido coi Comuni sottoscrittori
d) presso la sede di ogni distretto sanitario si ipotizza di allocare anche la sede del rispettivo piano di zona
e) l’ipotesi di individuare l’Asl come soggetto capofila nasce dalla considerazione che, essendo l’Asl un’azienda dotata di personalità giuridica pubblica, non rientrando nella nozione di ente strumentale, questa soluzione offre maggiori tutele per il personale in mobilità
f) si prevede in convenzione la presenza delle più importanti associazioni di volontariato presenti sul territorio di riferimento (terzo settore, fondazioni, Caritas, enti religiosi ecc.)
g) creazione short list soggetti abilitati ad erogare prestazioni sociali e introduzione del sistema dei voucher per i servizi domiciliari non autosufficienze
h) favorire per ogni ambito la creazione di Fondazioni di comunità
Sul piano della forma giuridica il gruppo di lavoro ha ritenuto pertanto impraticabile la strada dell’unione dei comuni, la quale si addice meglio ad aggregazioni di piccoli enti contigui risultando viceversa impossibile da realizzare per aggregazioni coincidenti coi distretti (mediamente costituite da oltre 20 Comuni). Inoltre l’Unione comporterebbe lo scioglimento delle rispettive comunità montane con conseguenti nuove lungaggini e nuovi e più complessi problemi. In secondo luogo non è parsa altrettanto percorribile la strada dell’unione dei comuni montani con funzioni anche nel sociale in aggiunta a quelle proprie attribuite dalla norma, dovendo coincidere distretti sanitari e ambiti sociali alla luce della recente normativa regionale. Le comunità montane viceversa hanno perimetrazioni totalmente differenti dai piani di zona. Va sottolineato, inoltre, che il ricorso alla convenzione consente a tutti i Comuni, indifferentemente dalla propria consistenza demografica il ricorso alla forma associativa dei servizi sociali senza entrare in contrasto con la L. 148/2011 che rende facoltativa, obbligatoria o non praticabile la strada dell’unione dei Comuni a seconda se inferiori o superiori ai mille abitanti. In questo modo i distretti possono sempre coincidere coi comuni consorziati. Né sembrano assolutamente da preferire soluzioni che rappresentino solo una clonazione dei consorzi pre-esistenti (aziende speciali, società pubbliche) o che tentino illegittimamente di aggirare la norma cambiando nomen iuris (consorzio di servizi) ad enti soppressi dal legislatore.
Un consorzio di servizi dovrebbe anzitutto specificare di quali altri “servizi” si occupa per statuto e per delega dei rispettivi comuni, ma tra essi non potrà certo annoverarsi la “funzione” del sociale. L’Udc attiverà in tutti i piani di zona della provincia una serie di incontri pubblici al fine di illustrare e discutere la seguente proposta e al fine di e raccogliere suggerimenti per integrarla e migliorarla. La soluzione della Convenzione, sarà proposta a partire dal soppresso consorzio dell’Alta Irpinia per una rapida applicazione”.
PIANI DI ZONA – DOCUMENTO UDC – SINTESI
Il tavolo tecnico dell’Udc ha ritenuto doversi muovere su 4 direttrici prioritarie e fondamentali:
1) organizzare i piani di zona attraverso lo strumento giuridico più snello, fluido, che semplifichi e non crei doppioni ovvero nuovi enti con nuovi e insopportabili costi;
2) saldare ancor di più sociale e sanitario e quindi Asl e piani di zona
3) rilanciare il ruolo del volontariato e del terzo settore in generale;
4) attivare soluzioni innovative sul piano della gestione dei servizi.
Sulla base di queste linee guida è emersa una proposta che schematicamente si può così sintetizzare:
Ogni ambito coincide con i singoli distretti socio-sanitari. Il soggetto capofila di ogni ambito è l’Asl.
La forma scelta è quella della Convenzione ex articolo 30 Testo Unico Enti Locali.
L’Asl partecipa ad ogni Convenzione
Le singole Convenzioni hanno sede presso i singoli distretti sanitari
Massimo coinvolgimento delle associazioni e delle realtà legate al terzo settore e al volontariato.
L’Udc già nelle prossime settimane avvierà un ciclo di incontri sui vari territori – utilizzando la vecchia divisione territoriale dei Piani di Zona – per presentare i contenuti del documento.