Referendum, Amici della Terra: “Votare NO ai quesiti sull’acqua”

AVELLINO – L’associazione di politica ambientale Amici della Terra chiede ai cittadini di andare a votare il 12 e 13 giugno e di votare NO ai quesiti referendari sull’acqua. “E’ difficile – dichiara Luca Battista di Amici della Terra Irpinia – controbattere alle affermazioni di Padre Zanotelli: ‘L’acqua è madre di vita. Non può essere mercificata’ oppure l’”Acqua è un dono di Dio”. Ma il buon Dio non ci ha dato potabilizzatori, pompe, condotte, stazioni di sollevamento, depuratori. L’acqua è, insomma, un bene economico-ambientale, cioè scarso. Del resto non è l’acqua condizione per lo sviluppo, ma lo sviluppo condizione per l’accesso all’acqua e per un suo più efficiente utilizzo. Si tratta dell’esatto contrario di quanto predica ogni ideologismo, sia ambientale sia delle forme di controllo proprietario dei soggetti che gestiscono il servizio.
La comunicazione relativa ai quesiti referendari che riguardano il tema dell’acqua ha banalizzato la questione creando due tifoserie opposte: fan del privato e pasdaran del pubblico. Nella realtà, la questione non si presenta in questi termini. Il quesito sulla scheda rossa riguarda non solo il servizio idrico, ma le norme di affidamento di “tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica”. Quindi la sua abrogazione mette in discussione anche le modalità – forse più consolidate – di affidamento di servizi come i trasporti e lo smaltimento dei rifiuti.
Le gare per l’affidamento del servizio idrico integrato attualmente sono aperte non solo ai privati ma anche a società totalmente pubbliche. Quindi la norma non fa differenza fra privato e pubblico, ma li considera sullo stesso piano e li mette in concorrenza. Non è necessario svilire l’istituto referendario applicandolo a questioni molto tecniche – basta la capacità di scegliere bene chi mandare al Governo e soprattutto chiedere – questo si – anche con un referendum, l’abolizione della nostra “ignobile” legge elettorale che non ci permette di scegliere chi mandare in parlamento.
Nel caso di vittoria del si, il decreto Ronchi viene abrogato, ma le sentenze n.24 e 25 del 12-1-2011 della Corte Costituzionale prevedono che essa venga sostituita non dalle normative italiane precedenti, che prevedevano l’affidamento senza gara pubblica, bensì dalla normativa europea. Quest’ultima prevede comunque la gara per poter far partecipare all’affidamento anche ai privati ma dà la facoltà di dare l’affidamento anche in house, attribuendo cioè l’appalto o il servizio di cui trattasi ad altra entità giuridica di diritto pubblico (società pubbliche). Quindi sia che vinca il si, sia che vinca il no, per fare un affidamento della gestione del servizio a privati, occorrerà comunque la gara.
Che l’acqua sia un bene pubblico è un principio sancito dal numerose leggi ordinarie, tra cui l’articolo 822 del Codice Civile. Ciò è ribadito più volte dalla legge Ronchi del 2009, quella che il referendum vuole parzialmente abolire, la quale all’articolo 15 parla di «piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche.
Quindi il decreto Ronchi (quello che si vuole abolire col quesito della scheda rossa), dà la libertà, alle amministrazioni locali, di affidare, se lo vogliono, la sola gestione degli acquedotti (e non la loro proprietà) a imprese private, tramite gare ad evidenza pubblica. Se vince il si, si applicherà la normativa europea, che permette comunque di affidare la gestione a privati e sempre tramite gara pubblica. La querelle sulla privatizzazione dell’acqua ci sembra pura aggressione ideologica e immotivata contro i privati. Quando dovrebbe essere ricerca pragmatica di soluzioni che funzionino, se non in modo perfetto, almeno in modo accettabile.
Il secondo quesito, “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma” è falso fin dal titolo. Le sette parole che il quesito chiede di abrogare sono all’interno di un comma molto più complesso, anche per la determinazione della tariffa, che nella sua interezza suona così: “La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo.”
Dunque, la remunerazione del capitale investito non è che uno fra dieci criteri di cui tener conto nel definire il corrispettivo del servizio. A che serve? Oggi, se l’ente locale vuole, può ricevere un prestito per investire sulla risorsa acqua. Se venisse eliminato il criterio della remunerazione, chi mai presterebbe del denaro?
Quando parliamo dell’interesse ricevuto da chi ha investito il proprio denaro nei servizi idrici, ci riferiamo sia all’interesse percepito da eventuali prestiti obbligazionari, sia alla rendita percepita da eventuali partecipazioni al capitale della società tramite acquisto delle sue azioni. Tale norma fu voluta dal Governo Prodi e firmata dall’allora ministro Antonio Di Pietro nel 1996 per evitare di aumentare il debito pubblico, con il 7% lordo annuo della remunerazione si pagano gli interessi per i prestiti bancari per gli investimenti, le tasse allo Stato, e una quota minima crea gli utili. Pensiamo che, al di là dello scontro sui referendum, innanzitutto, sia necessario avere più trasparenza nel servizio pubblico. Cosa proponiamo: 1. di riaffermare la scelta della tariffa come strumento di tutela ambientale (garantendo tramite interventi di sicurezza sociale l’accesso al servizio da parte di fasce sociali in condizioni di difficoltà); 2. di completare il processo di affidamento del servizio in ambiti territoriali funzionali, a gestori dotati di adeguate capacità gestionali; 3. di rafforzare la capacità di regolazione (indirizzo e controllo) della pubblica amministrazione, a partire dai comuni degli ambiti territoriali con un più forte ruolo delle Regioni e dello Stato, nei confronti delle aziende affidatarie del servizio; 4. che venga istituita un’Autorità garante sull’Acqua, così come ne abbiamo una sul gas, i servizi elettrici, la concorrenza. Un’autorità che vigili su prezzi e qualità dei servizi contribuendo così al corretto uso e alla tutela della risorsa acqua.

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