“Sono uno di quelli che non può restare a casa, perché lavoro in un supermercato e come tale devo garantire, insieme a tutti i miei colleghi, un servizio di primissima necessità ai cittadini”, inizia la così la lettera inviata da Giuseppe, un giovane di Montefredane, alla redazione di Irpinia Oggi.
Giuseppe fa parte del ristretto gruppo di persone costrette a lavorare nonostante il Coronavirus. Il suo è uno sfogo amaro, un appello ai furbetti della spesa, a chi con la scusa di prendere aria e di uscire di casa si reca al supermercato più vicino per fare compere più volte al giorno.
“Sono dei menefreghisti, me li ritrovo davanti al banco anche tre, quattro volte ogni giorno. Ma che ne sanno loro di quello che provo la mattina, quando fuori è ancora buio e mi alzo dal letto per andare a lavorare. Che ne sanno loro della tremenda sensazione che provo, quando rientro a casa, nel non poter abbracciare mia moglie e baciare il suo pancione al nono mese di gravidanza“.
La paura del presente e le incertezze per il futuro si fondono insieme nell’accorato grido di Giuseppe: “Nella migliore delle ipotesi mia moglie vedrà da sola per la prima volta il volto del nostro bambino e i nonni, beh, credo che lo conosceranno un po’ più in là. Nessuno può immaginare cosa provo, perché allo Stato, di quelli come me e delle storie come le mie, poco interessa. Ma in nome di Dio e di tutti quelli che ci hanno già rimesso la vita e di tutte le vite che stanno per nascere, vi prego, restate a casa. E concedetemelo, mi assumo la responsabilità e la presunzione di parlare anche a nome di mio figlio“.