È morto Ciro Melillo, la storia della pallacanestro irpina

Ciro Melillo

“Per salvare la Scandone ho chiesto aiuto anche al papa”: non scherzava affatto Ciro Melillo quando raccontava che grazie ad una delle tante “suppliche” scritte con la sua macchina da scrivere Olivetti era riuscito ad ottenere una sponsorizzazione anche da un ente legato alla Santa sede. Per la sua quarta figlia ha fatto anche di più, dando in garanzia due volte la sua abitazione per evitare la scomparsa di quella società che lui aveva già fatto rinascere dopo il fallimento del dopoguerra, fondendola con la sua Libertas Avellino che della Scandone fondata dal professore Fausto Grimaldi era stata rivale storica in tanti derby cittadini.

Ciro Melillo è stato ed è la pallacanestro ad Avellino che nella sua concezione si identifica con la Scandone, la creatura che quattro anni fa era persino riuscito a salvare dal fallimento grazie alla stima della quale godeva da parte dei vertici federali: dopo i guai della gestione De Cesare era riuscito ad ottenere il congelamento dell’attività agonistica e della denominazione, che sarebbe poi stata attribuita ad una nuova società magari fondata da imprenditori ed appassionati irpini. Ma le cose andarono diversamente e lui non la prese bene, affiggendo una foto nel suo studio dell’ultima gara giocata contro Milano dalla Scandone con tanto di data celebrativa: “Questa è l’ultima gara della Scandone”.

Prima di essere il presidente, Ciro Melillo è stato arbitro nazionale, in predicato di passare in serie A. Carriera  frenata dal lutto di suo padre che gli impediva di fare trasferte per l’Italia lasciando da sola la famiglia (“Quando la notte sogno una cosa bella, sogno di fare ancora l’arbitro”). Poi un curriculum dirigenziale come nessuno mai: presidente del comitato provinciale Fip, responsabile provinciale degli arbitri, consigliere federale per due mandati e capo del Settore agonistico. La stella d’oro Coni ricevuta anni fa rende l’idea della sua storia, non della sua passione.

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